Con la sua prima esortazione apostolica, Papa Leone XIV si pone nella scia del magistero di Francesco, ma lo fa con il cuore di un agostiniano: radicato nell’interiorità, inquieto per i poveri, animato da un amore che non passa.

C’è una frase che riecheggia sin dalle prime righe dell’esortazione apostolica Dilexi te, la prima firmata da Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost: «L’amore è stato il principio. E sarà la misura del nostro giudizio». Un’espressione semplice e disarmante, eppure gravida di teologia, di spiritualità, e di profezia pastorale.

Con questa esortazione – firmata a pochi mesi dall’elezione e presentata alla stampa l’11 ottobre 2025 – il nuovo Pontefice raccoglie idealmente il testimone lasciato da Papa Francesco con Evangelii gaudium e Fratelli tutti, ma lo innesta in un’anima agostiniana. L’eco di sant’Agostino è discreta ma onnipresente: nel richiamo alla grazia preveniente, nel tono confidenziale della scrittura, nella centralità della carità come vincolo sociale e spirituale, nel recupero del concetto di interiorità come spazio dove Dio parla e plasma.

Non un amore qualunque, ma quello del Crocifisso

Il titolo dell’esortazione – Dilexi te, “Ti ho amato” – è una dichiarazione d’intenti: il Papa prende le mosse da quella parola del Signore che precede ogni merito umano, ogni programma pastorale, ogni riforma ecclesiale. “Ti ho amato” è il verbo pronunciato dal Risorto ai suoi discepoli feriti, ai peccatori riaccolti, ai poveri senza voce. Non è un amore sentimentale, né una categoria sociologica: è la sintesi cristologica del Vangelo, “una sintesi del Vangelo”, come Papa Francesco scriveva a proposito del Cuore di Cristo nell’enciclica Dilexit nos.

Papa Leone XIV cita esplicitamente il suo predecessore in diversi passaggi e ne riprende il lessico: periferie, giustizia sociale, sinodalità, opzione preferenziale per i poveri. Ma lo fa con un passo personale, che viene da lontano: dalla sua lunga esperienza in Perù tra i poveri, dalla sua formazione negli Agostiniani Recolletti, dalla sua predilezione per una Chiesa che parli con il linguaggio dell’anima, non solo delle analisi.

Originalità agostiniana: interiorità e inquietudine

L’originalità del testo sta proprio in questo: Dilexi te è un documento profondamente pastorale, ma attraversato da un pensiero teologico denso, che rifiuta le contrapposizioni semplificate tra dottrina e pastorale, verità e misericordia, Chiesa e mondo. Il cuore del Pontefice è, come quello di Agostino, “inquieto finché non riposa in Te”. E l’amore che annuncia non è tanto quello che noi possiamo offrire, ma quello che abbiamo ricevuto. La carità – dice Leone XIV – «non è una conquista morale, ma un dono ricevuto e da ridonare». Per questo la Chiesa non è una ONG, ma nemmeno una setta morale. È il sacramento dell’amore di Dio che salva.

In questo senso, Dilexi te si collega alla linea tracciata da Evangelii gaudium, ma evita ogni ingenuità ottimistica: non basta “uscire”, bisogna sapere dove portare chi si incontra. E la risposta non è un’ideologia, ma una Persona: Gesù, Crocifisso e Risorto, Amore incarnato.

Per i poveri, con i poveri, da poveri

Uno dei passaggi più forti dell’esortazione riguarda il rapporto della Chiesa con i poveri. Leone XIV non usa toni enfatici, ma parole severe e affettuose. Chiede una «conversione alla giustizia» e invita a non ridurre la carità a elemosina: «Una Chiesa che ama i poveri ma non ne ascolta la voce è una Chiesa che ha smarrito la strada». E ancora: «Non è sufficiente servire i poveri; bisogna lasciarsi evangelizzare da loro».

Questa prospettiva, pur in continuità con Francesco, si distingue per un’impostazione più esistenziale e sacramentale. Il povero non è solo “Cristo” da servire: è anche il fratello che ti rivela chi sei, e che ti chiama a riscoprire la povertà evangelica. Non solo povertà materiale, ma distacco dagli idoli: del potere, del controllo, del clericalismo.

La Chiesa che Leone XIV sogna

Alla fine del testo, il Papa tratteggia il volto di una Chiesa «con il cuore sulle ginocchia», capace di adorare e servire, di parlare poco e amare molto. Una Chiesa che abbandoni la logica dei bastioni per diventare “intimità che si fa casa per molti”. Che rinunci ai linguaggi autoreferenziali e si lasci plasmare dallo Spirito. Una Chiesa che – e qui si sente tutto l’eco del vescovo missionario – «non costruisca strategie per sopravvivere, ma offra vite donate per testimoniare».

Un’eredità ricevuta, una via da tracciare

In un tempo in cui la Chiesa è tentata dalla nostalgia di forme del passato, o dalla dispersione in mille attivismi, Dilexi teoffre una bussola semplice e forte: ritornare all’amore del Cristo, lasciarsi possedere da Lui, vivere e servire come chi ha già ricevuto tutto.

Papa Francesco aveva detto: “La realtà è superiore all’idea”. Papa Leone XIV sembra dirci: “L’amore è più profondo di ogni realtà”.

Un amore che non si possiede, ma che ci possiede.

Un amore che ci precede.

Un amore che resta.