Luciano Vasapollo: «Serve un’economia al servizio dei popoli, non solo degli interessi finanziari»
In un contesto economico internazionale sempre più segnato da squilibri e competizione, il professor Luciano Vasapollo propone una lettura attenta e documentata del ritorno dei dazi come strumento geopolitico. La sua analisi si colloca nel solco di una riflessione etica sull’economia globale, richiamando i valori della solidarietà, della giustizia e della dignità del lavoro.
In un’epoca di crescenti tensioni internazionali, il ritorno al centro del dibattito economico della questione dei dazi e del protezionismo richiede un discernimento attento e non ideologico. È in questo spirito che si inserisce l’intervento del professor Luciano Vasapollo, docente alla Sapienza di Roma e coordinatore del centro studi CESTES.
L’analisi di Vasapollo – che sta tenendo una serie di seminari in diverse città italiane, e ha raccolto queste riflessioni nel recente manuale Nous (Armadillo Edizioni) – offre spunti preziosi per una comprensione profonda delle dinamiche che legano le scelte commerciali ai processi di sviluppo (o sottosviluppo) globale.
«I dazi – ha affermato – sono oggi uno strumento usato selettivamente da chi ha la forza economica per farlo. Le grandi potenze li impiegano non solo per difendere settori produttivi, ma anche come leva di pressione geopolitica. Al contrario, i Paesi economicamente più fragili spesso non hanno la possibilità di proteggere le proprie filiere industriali».
Vasapollo ha richiamato l’attenzione su una dinamica che definisce “asimmetrica”: da un lato, un protezionismo esercitato dai forti; dall’altro, richieste di apertura ai mercati imposte ai più deboli. Un esempio significativo è l’Africa subsahariana, dove – secondo l’economista – le barriere tariffarie europee sui prodotti trasformati impediscono la nascita di industrie locali, mantenendo questi Paesi in una posizione dipendente. «Non si tratta soltanto di commercio – ha spiegato – ma di un assetto che incide sulla possibilità stessa di uno sviluppo autonomo e dignitoso».
La riflessione di Vasapollo si è poi allargata a una visione storica dell’evoluzione economica: «La globalizzazione non è di per sé una realtà negativa. Ma bisogna interrogarsi sul tipo di globalizzazione che si è affermata dagli anni Ottanta in poi, centrata più sulla finanziarizzazione che sull’economia reale». In questo contesto, ha distinto tra “profitto produttivo” e “rendita finanziaria”, sottolineando come la speculazione spesso si appropri di valore generato altrove, senza produrlo.
Nel suo intervento non sono mancati riferimenti a esperienze alternative, in particolare quelle latinoamericane, come il modello del Buen Vivir, che valorizza i beni comuni, la sovranità alimentare e la centralità della comunità. «L’educazione critica e la coscienza collettiva – ha aggiunto – sono strumenti essenziali per costruire un’economia che non escluda e non sfrutti, ma includa e generi relazioni giuste».
Con uno stile diretto ma rispettoso, Vasapollo ha posto domande anche alla classe dirigente, auspicando una maggiore consapevolezza e preparazione sui temi macroeconomici, e invitando ad affrontare il futuro non con logiche difensive o semplificazioni ideologiche, ma con strumenti analitici rigorosi e apertura alla complessità.
Commento finale:
La visione espressa dal professor Vasapollo si inserisce nel più ampio orizzonte del pensiero sociale cristiano, che – come più volte ha ricordato il Magistero della Chiesa – pone al centro dell’economia la persona, il lavoro, il bene comune. I dazi, come ogni strumento economico, non sono né buoni né cattivi in sé: tutto dipende dall’uso che se ne fa e dagli effetti che producono sui popoli. La sfida è rendere l’economia non terreno di dominio, ma strumento di fraternità.