Nel cuore del Giubileo del 2025, due recenti discorsi di Papa Leone XIV — il Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e l’intervento alla FAO — offrono uno spaccato limpido e profondo di un magistero in piena continuità con quello del suo predecessore, Papa Francesco, e al contempo rivelano i primi tratti originali di un pontificato che sa tenere insieme denuncia profetica, concretezza evangelica e visione globale.

Semi e pane: due immagini, un’unica economia della grazia

Nel primo messaggio, Leone XIV riprende con delicatezza evangelica l’immagine del seme, cara tanto a Gesù quanto alla spiritualità contadina, oggi messa ai margini da una tecnocrazia che produce aridità. Il seme è fragile, scompare nel terreno, ma ha una forza nascosta che genera futuro. Lo stesso futuro che, nel secondo discorso — alla FAO — si vede negato a milioni di esseri umani, vittime della fame, della guerra e della speculazione. Lì, il Papa parla di pane: non solo da produrre, ma da condividere.

Il filo rosso è chiaro: natura e umanità sono due nomi dello stesso grembo violato, e ogni crisi ambientale è anche una crisi relazionale e sociale. Leone XIV non parla di “ecologia” e “sicurezza alimentare” come categorie tecniche: le colloca in un orizzonte spirituale e teologico, dove il peccato dell’uomo coincide con la voracità, l’ingiustizia e l’indifferenza, e dove la redenzione passa per la cura, la custodia e la condivisione.

La logica della Laudato si’ continua, e si incarna

L’eredità di Laudato si’ e Laudate Deum non è solo accolta, ma resa operativa. Quando Leone XIV parla della “politica della terra bruciata”, delle foreste minate, dei semi gettati nei bordi delle strade, richiama alla mente le immagini più potenti dell’enciclica di Francesco, ma le declina nel linguaggio della responsabilità concreta. Lo stesso avviene nel discorso alla FAO, dove le crisi non sono descritte come eventi inevitabili, ma come scelte politiche e militari deliberate, che fanno della fame uno strumento di dominio.

E se Francesco aveva insistito sulla necessità di una “conversione ecologica”, Leone XIV spinge oltre: “giustizia ambientale” e “giustizia sociale” non sono più ambiti paralleli, ma espressioni indivisibili della fede cristiana. La fame non è solo una questione logistica o tecnica: è il sacramento della disuguaglianza globale, e ogni chiesa che celebra l’Eucaristia deve interrogarsi se il “pane nostro quotidiano” viene negato a interi popoli a causa dell’egoismo di pochi.

Dalla spiritualità alla politica: la teologia dell’impatto

Il tratto più notevole di questi due messaggi è l’uscita dal linguaggio autoreferenziale. Leone XIV non si accontenta di esortare. Indica meccanisminodiresponsabilità storiche. Parla di élite che si ingrassano mentre i popoli muoiono, denuncia i fondi sottratti alla lotta alla povertà per finanziare la corsa agli armamenti, e chiede una riforma delle regole globali. Non si tratta più di “prendersi cura del creato” come gesto etico personale, ma di intraprendere una battaglia strutturale per la vita, in un mondo dove le relazioni internazionali sono “polarizzate” e dove la fame diventa arma geopolitica.

È in questo passaggio che il suo pensiero si distingue e si evolve rispetto a Francesco: se quest’ultimo ha mostrato le ferite, Leone XIV comincia a indicare con più precisione i chirurghi, gli speculatori, i complici. E lo fa parlando alle Nazioni Unite, ai governi, ai responsabili delle crisi alimentari e ambientali, usando un linguaggio che non ammette più ambiguità: “prima o poi dovremo rendere conto alle generazioni future”.

Il profilo di un pastore globale

Ciò che colpisce è anche la coerenza pastorale. In entrambi i testi, Leone XIV non parla da tecnico, né da ideologo. Si presenta come “portavoce di quanti nel mondo si sentono lacerati dall’indigenza”, e invoca “lo Spirito dall’alto” per trasformare il deserto in giardino. Non spiritualizza il dramma: lo incarna nel corpo dei poveri, nella terra ferita, nelle mani vuote degli agricoltori. Ed è lì che chiede di piantare semi: semi di pace, semi di speranza, semi di giustizia.

Questa visione è già magistero incarnato: basti pensare al “Borgo Laudato Si’”, menzionato nel messaggio per il Creato. Un’eredità viva di Francesco, che Leone XIV riconosce e rilancia come modello di educazione integrale, capace di generare comunità sostenibili, laboratori sociali e nuove forme di economia.

La profezia si fa sistema

Nella profondità di questi due interventi, Leone XIV non tradisce Francesco, ma ne raccoglie la tensione profetica, la organizza, la istituzionalizza.

Dopo la stagione della denuncia e della mobilitazione, si apre la stagione dell’impianto sistemico del Vangelo nella realtà storica. L’alternativa cristiana al cinismo globalizzato non è il moralismo né la nostalgia, ma un impegno concreto per cambiare le strutture del peccato, anche a costo dell’impopolarità.

Perché — e Leone XIV lo sa bene — la pace e il pane non si moltiplicano con le dichiarazioni, ma solo con la condivisione radicale e la custodia della terra comune.

E in un tempo di slogan e di guerre camuffate, la verità più rivoluzionaria è ancora il Vangelo spezzato in mano ai poveri.