Nel cuore della crisi della Chiesa nel mondo germanico, tra secolarizzazione e istanze riformatrici, si alza la voce profetica di Papa Francesco: una voce che ricorda alla teologia il primato dello Spirito, del popolo e della realtà vissuta.

Nel cuore dell’Europa, dove un tempo brillava il fulgore della teologia sistematica e dell’ortodossia dottrinale, oggi si combatte una battaglia più radicale: quella per la credibilità della fede. Germania, Austria, Svizzera: tre paesi, un’unica sfida. Qui, dove le università teologiche sono tra le più prestigiose del mondo, la Chiesa appare sempre più svuotata, ferita da scandali, da crisi vocazionali, e soprattutto da una progressiva perdita di fiducia da parte del popolo di Dio.

Il fenomeno dell’uscita dalla Chiesa cattolica (Kirchenaustritt) più che della “Chiesa in uscita” ha assunto proporzioni drammatiche: centinaia di migliaia di fedeli ogni anno chiedono di essere ufficialmente cancellati dai registri ecclesiali, anche per motivi fiscali, ma soprattutto per protesta morale, in particolare dopo lo scandalo degli abusi sessuali.

In questo contesto, il “profetismo scomodo” di Papa Francesco non si presenta come un esercizio accademico, ma come un richiamo potente alla radice evangelica della Chiesa. Il suo magistero, intriso di Vangelo e vita concreta, interpella in modo diretto proprio quelle regioni in cui la tentazione della “teologia da laboratorio” sembra aver preso il sopravvento.

“La realtà è superiore all’idea”, ripete il Papa, secondo uno dei quattro principi della Evangelii Gaudium. Ecco la chiave.

In molte riflessioni del Cammino sinodale tedesco – pur animate da buona volontà – si avverte la tentazione di una teologia autoreferenziale, scollegata dalla carne ferita della Chiesa. Si parla di riforme, di strutture, di nuovi paradigmi, ma si dimentica – talvolta – che la conversione missionaria, tanto invocata da Francesco, parte dal cuore che prega, serve, soffre, accompagna. Una teologia senza ginocchia è una teologia cieca.

Papa Francesco, con forza paterna e talvolta anche con accenti duri, metteva in guardia contro il rischio di costruire una Chiesa “parallela”, dove le decisioni sono prese più per pressione culturale che per discernimento spirituale. Nel 2023, in una lettera personale ai cattolici tedeschi, parlò chiaramente di una sinodalità che non può mai diventare “sociologica”, perdendo il legame con la comunione ecclesiale e lo Spirito Santo.

Il Papa non negava la necessità delle riforme, ma chiedeva fedeltà al Vangelo prima che innovazione culturale. In questo si rivela ancora oggi il suo profetismo: non un conservatorismo mascherato, bensì una radicale fedeltà alla Parola, un richiamo costante alla Chiesa povera per i poveri, al popolo santo di Dio come luogo teologico, alla misericordia come prima legge della Chiesa.

La teologia tedesca, pur nella sua ricchezza (da Guardini a Rahner, da Metz a Kasper), rischia oggi – secondo alcuni osservatori – di perdere il popolo. Troppo concentrata sui meccanismi della struttura ecclesiale, troppo poco attenta alla conversione del cuore. In questa prospettiva, Papa Francesco ricorda che la teologia non è mai neutra: o è missionaria o è sterile; o serve la comunione o si dissolve in opinione.

“La teologia che non parte dal popolo di Dio rischia di diventare ideologia”, ha detto Francesco parlando alla Pontificia Accademia di Teologia.

Non è dunque un caso che nei suoi viaggi, nelle sue omelie, nelle sue encicliche, Papa Francesco abbia costantemente valorizzato i testimoni del Vangelo vissuto: non i teologi accademici, ma i santi della porta accanto, i martiri della carità, i poveri che evangelizzano, le famiglie ferite ma fedeli, le periferie che parlano di Dio più dei simposi.

Nel mondo germanico, dove la teologia ha spesso plasmato anche le decisioni pastorali, la sfida che Francesco pone è quella del discernimento spirituale: non si tratta solo di cambiare le regole, ma di trasfigurare la Chiesa dal di dentro, con uno sguardo contemplativo e un cuore evangelico. E questo non si impara sui libri, ma nell’incontro con il Cristo vivo, nella preghiera e nella condivisione con gli ultimi.

Il profetismo del Papa non si limita a criticare. Propone vie nuove: l’ascolto sinodale, ma in comunione con Pietro; la riforma della Curia come servizio alla missione; l’evangelizzazione come stile prima ancora che strategia. Il tutto vissuto con uno stile mariano: umiltà, fiducia, abbandono, coraggio.

Oggi più che mai, nel cuore dell’Europa, il futuro della Chiesa non dipende da nuove strutture, ma da cuori convertiti. E Francesco, come un profeta che parla in mezzo alle rovine, continua a dire che il Vangelo è ancora capace di cambiare la storia, se lo lasciamo entrare nella realtà, non solo nelle dispute accademiche.