La Colombia scopre di nuovo il volto del terrore. L’esplosione a Cali e l’abbattimento dell’elicottero ad Antioquia segnano il ritorno della guerra nelle città, smentendo l’illusione del “post-conflitto” e mostrando quanto lo Stato sia fragile di fronte a guerriglie che si riorganizzano, armate di droni e narco-economie.

L’attacco con esplosivi a Cali, cuore urbano del Paese, e l’abbattimento di un elicottero della polizia ad Antioquia non sono episodi isolati. Sono il segno che la guerra in Colombia, che molti pensavano confinata nelle regioni più remote e periferiche, sta tornando a bussare alle porte delle grandi città. Cali non è Catatumbo, non è il Cauca né il Putumayo: è la terza città del Paese, e il terrore che vi è esploso dentro ha ricordato a milioni di colombiani che il “post-conflitto” di cui si parlava dopo gli accordi di pace del 2016 è ormai un ricordo lontano.

Il presidente Gustavo Petro ha denunciato una “reazione terroristica” dei dissidenti delle FARC, colpiti dall’operazione Perseo lanciata mesi fa per riconquistare il canyon del Micay. Una lettura parziale: è vero che lo Stato ha inflitto perdite importanti a Iván Mordisco e al suo Stato Maggiore Centrale, ma la risposta della guerriglia dimostra capacità militari, logistiche e tecnologiche che lo Stato sembra non riuscire a contenere. I droni usati per abbattere un elicottero sono il simbolo di una nuova fase della guerra: la tecnologia che doveva garantire il vantaggio delle forze armate diventa arma a disposizione dei gruppi illegali.

La Colombia ha già conosciuto stagioni di terrorismo urbano: gli anni ’90 con Pablo Escobar, gli anni 2000 con le FARC che circondavano Bogotá. Quei capitoli sembravano chiusi. Oggi invece si parla non più di “post-conflitto”, ma di almeno otto conflitti paralleli, nutriti da narcotraffico, estrazione illegale, tratta e corruzione. E mentre lo Stato si indebolisce — con una flotta aerea in parte inutilizzabile e istituzioni sempre più fragili — i gruppi armati si moltiplicano e si spingono fin dentro le città.

Il rischio è evidente: che la spirale di violenza, senza un dialogo politico credibile e senza una strategia di rafforzamento delle istituzioni, riporti la Colombia a uno scenario già visto, quello in cui la popolazione vive sotto la minaccia costante del terrore. La pace non si improvvisa: richiede fermezza militare, ma anche capacità di negoziare, di ricostruire fiducia, di affrontare le cause strutturali della violenza.

La Colombia oggi si trova di fronte a un bivio: o ripiegare su una logica esclusivamente militare, che la storia ha già mostrato essere insufficiente, o trovare il coraggio di un nuovo patto sociale che restituisca al Paese la speranza che la guerra, prima o poi, possa davvero finire.