Dopo Francia, Cina, Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito, Svezia ed India, stop agli smartphone anche nelle scuole superiori in Italia.

Con una circolare firmata il 16 giugno 2025, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha esteso il divieto già in vigore nel primo ciclo scolastico anche agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. La misura ha un obiettivo chiaro: tutelare il benessere psicofisico dei ragazzi e contrastare l’abuso di dispositivi digitali, ormai riconosciuto da numerose ricerche come fattore di rischio per la salute, il rendimento scolastico e la qualità delle relazioni. Ma la domanda resta aperta: vietare basta davvero? O c’è bisogno di un passo ulteriore, educativo e comunitario?

IUna misura necessaria, ma non sufficiente

Le preoccupazioni del Ministero sono fondate. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, più del 25% degli adolescenti italiani presenta segnali di uso problematico dello smartphone, con ricadute su sonno, attenzione, umore e rendimento scolastico. Il Rapporto ISTISAN 23-25 collega la dipendenza dai social media a una significativa diminuzione della concentrazione e dell’impegno negli studi. In questo contesto, il divieto generalizzato risponde all’urgenza di creare un ambiente scolastico più sano e meno distratto, liberato da notifiche e scroll infiniti.

Eppure, la scuola – come ci insegna la Dottrina sociale della Chiesa – non è solo un luogo di disciplina, ma soprattutto uno spazio di crescita, discernimento e libertà responsabile. Il vero compito educativo è formare coscienze, non solo limitare comportamenti.

Educare all’uso, non solo al disuso

Vietare lo smartphone può servire a frenare comportamenti compulsivi, ma non educa automaticamente a un uso sano del digitale. Anzi, può rafforzare l’attrattiva del “proibito”, spingendo gli studenti a usare il telefono di nascosto, o a farlo in modo ancora più frammentato e ansioso fuori dalla scuola.

Il Papa Francesco, in Christus vivit, ha parlato con chiarezza del digitale come di un “territorio da abitare con consapevolezza”. Non basta spegnere gli schermi: bisogna accendere lo spirito critico. Serve insegnare ai ragazzi a distinguere ciò che nutre da ciò che distrae, ciò che costruisce relazioni da ciò che isola.

Il ruolo della famiglia: alleanza e testimonianza

L’educazione digitale non può essere demandata solo alla scuola. Le famiglie sono il primo luogo in cui i ragazzi imparano – o non imparano – a usare il cellulare in modo equilibrato. Quanti genitori pretendono che i figli “stacchino” senza dare loro il buon esempio?

Una comunità educativa credibile è quella in cui genitori, insegnanti e studenti condividono un patto, non solo di regole, ma di senso. Il divieto può essere utile se è accompagnato da occasioni di dialogo e confronto: perché usiamo il cellulare? Per cosa ci serve davvero? In che modo può diventare uno strumento per il bene e non per la dipendenza?

Per una cultura dell’equilibrio

La Chiesa ha sempre sottolineato che l’educazione è un cammino verso la libertà interiore. Oggi questo significa anche insegnare a disconnettersi per riconnettersi con se stessi, con gli altri, con Dio. L’uso dello smartphone – se orientato a fini positivi, come studiare, informarsi, comunicare in modo rispettoso – può rientrare in una visione integrale della persona. Ma se diventa un rifugio dall’ansia, uno sfogo compulsivo o un mezzo per giudicare e ferire (pensiamo al cyberbullismo), allora dev’essere corretta la rotta.

Anche in questo senso, la spiritualità cristiana offre un grande contributo. Il silenzio, l’ascolto, la preghiera, la gratuità: sono antidoti potenti contro l’accelerazione digitale che tutto consuma. Insegnare ai ragazzi che il loro valore non dipende dai “like”, ma dall’amore con cui vivono ogni giorno, è il più bel regalo che possiamo fare loro.

Spegnere per educare a scegliere

Il divieto dei cellulari a scuola è un segnale forte. Ma per renderlo davvero fruttuoso serve un progetto educativo più ampio, che aiuti i giovani a non essere schiavi della tecnologia ma padroni di se stessi. È questa la vera sfida: non spegnere i cellulari, ma accendere le coscienze. E farlo insieme, come comunità cristiana che crede ancora nella forza della libertà, del discernimento e dell’amore che educa.