Nei ruderi della chiesa di Casaglia, anneriti dal fuoco e dal sangue di settant’anni fa, il silenzio non è mai neutro: è carico di voci. Qui, nel settembre del 1944, la furia cieca della 16ª SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer-SS”, spalleggiata da milizie fasciste locali, si abbatté su civili inermi. Non fu combattimento, ma sterminio. Il giovane parroco, don Ubaldo Marchioni, cadde sull’altare dopo aver celebrato la Messa; i fedeli, radunati nel vicino cimitero, furono annientati da bombe a mano e raffiche di mitra. Tra loro, cinquanta bambini. La logica era la stessa che ha attraversato il Novecento in ogni genocidio: colpire il più debole per terrorizzare tutti.

È in questo luogo di martirio che il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, ha aperto la lettura dei dodicimila nomi di bambini uccisi a Gaza. Non un gesto politico, ma un atto pastorale e profetico: la Chiesa, ricordando i suoi martiri, si fa voce per gli innocenti di ogni tempo. Il dolore non ha confini cronologici né geografici; la pietà cristiana non seleziona le vittime in base alla bandiera.

Questa scelta interpella profondamente il nostro tempo. Allora come oggi, il male cerca di normalizzarsi nella retorica della “necessità” militare. I nazifascisti parlavano di “bonifica” dei territori partigiani; oggi si parla di “danni collaterali” o “obiettivi strategici”. Ma il risultato, sotto ogni latitudine, è lo stesso: volti di bambini, nomi spezzati, sogni interrotti.

La memoria storica cattolica non è un museo delle sofferenze, ma un esercizio di discernimento evangelico. Ricordare Casaglia non significa soltanto commuoversi per il sacrificio di un parroco e del suo popolo, ma riconoscere nei bambini di Gaza di oggi gli stessi occhi pieni di vita dei bambini di allora. Il Vangelo ci ricorda che la pace non nasce dall’equilibrio delle armi, ma dalla conversione del cuore e dalla scelta di salvare chi è più fragile.

Casaglia e Gaza, distanti migliaia di chilometri e ottant’anni, si specchiano in un’unica ferita. Chi custodisce la memoria cristiana ha il dovere di opporsi a ogni narrazione che giustifica l’uccisione degli innocenti. Perché la crudeltà di ieri non diventi la notizia “inevitabile” di domani, e perché la storia — illuminata dalla fede — resti un monito vivo, capace di trasformare la coscienza di un popolo.