I cristiani di Siria e il nuovo inferno dell’instabilità
Non bastavano le macerie di una guerra civile lunga oltre un decennio. Non bastava l’esodo silenzioso di centinaia di migliaia di cristiani, lo svuotamento delle comunità storiche, la distruzione delle chiese e delle case. A Damasco, ieri, il sangue ha di nuovo macchiato l’altare.
Era una domenica qualunque. Nella chiesa greco-ortodossa di San Elias, alla periferia della capitale siriana, si celebrava la Divina Liturgia. I fedeli erano raccolti come ogni settimana, tra incenso e canti, sotto l’iconostasi che separa il mistero dall’assemblea. Poi, il boato. Prima gli spari, poi l’esplosione. Almeno 20 morti, quasi 60 feriti. Anche bambini. Un attentato suicida che si è trasformato in un’ecatombe, perpetrato nel cuore della preghiera.
È tornato l’orrore, e con esso una domanda sempre più inquietante: chi vuole cancellare il cristianesimo dalla Siria?
Una pista che brucia
Nei primi istanti, il pensiero è corso all’Iran. L’ombra della guerra israelo-statunitense e l’ipotesi di una vendetta trasversale hanno avvelenato il clima. Ma quella pista si è spenta presto: troppo fragile, troppo incoerente. L’Iran è sotto attacco, non nella posizione di sferrare colpi. E poi, colpire una chiesa cristiana a Damasco non rafforza Teheran, semmai la scredita ulteriormente.
Con il passare delle ore, la verità è sembrata più nuda e atroce. L’attentatore sarebbe un membro dell’Isis. Proprio così: lo stesso Stato Islamico che molti credevano scomparso è ancora vivo nelle pieghe più aride e tribali della Siria. Le sue cellule si muovono nell’ombra, tra rapimenti, pedaggi e minacce. Ma questa volta hanno colpito nel cuore stesso della fragile ricostruzione: in una città mista, Dweilaa, dove cristiani, sunniti e alawiti provavano a convivere sotto un fragile patto sociale.
L’obiettivo era duplice: punire la comunità cristiana e lanciare un messaggio al presidente al-Sharaa, ex jihadista divenuto capo di Stato, ora ritenuto dai fondamentalisti un traditore. In mezzo, come sempre, ci sono i più indifesi: donne, bambini, anziani. I fedeli, colpevoli solo di pregare.
Il calvario cristiano non è finito
Per chi conosce la storia della Siria, non è una novità. I cristiani, eredi di una presenza che risale agli Atti degli Apostoli, hanno sempre pagato il prezzo più alto di ogni transizione. Durante la guerra civile erano sospesi tra il regime e i ribelli, cercando di restare neutrali e spesso trovandosi vittime di entrambi. Oggi, con l’ennesimo cambio di potere e l’ennesima faglia aperta tra ideologie, milizie e tribù, tornano ad essere bersagli mobili.
Ma la vera tragedia non è solo l’attacco. È l’indifferenza.
Chi piange questi morti? Chi li protegge? Chi li ascolta?
La Siria è scomparsa dai radar dell’Occidente. È diventata un’eco scomoda, un nome difficile da pronunciare nei telegiornali.
Eppure, lì vivono ancora decine di migliaia di cristiani che resistono con fede ostinata. Alcuni raccontano che, nel caos dell’esplosione, alcuni si sono salvati rifugiandosi dietro l’iconostasi. Come nei primi secoli, la fede è diventata rifugio. E l’altare, un nuovo Golgota.
Non basta la condanna
Il ministro dell’Informazione siriano ha parlato di un «vile attacco terroristico» e ha promesso giustizia. Parole necessarie, ma non sufficienti. I cristiani di Siria non hanno bisogno solo di condanne: hanno bisogno di protezione, di visibilità, di garanzie. Hanno bisogno di sapere che non sono soli. Che la loro morte non sarà cancellata dalla sabbia.
Nel momento in cui l’Occidente discute di geopolitica, di equilibri, di alleanze, la domanda vera è questa: chi protegge i fedeli durante la Messa? Chi protegge il diritto di esistere di una fede che è nata in quelle terre e che oggi viene martirizzata nella sua culla?
Una Chiesa spezzata ma non piegata
C’è una speranza, tuttavia, che non muore. È la speranza testimoniata dai sopravvissuti. Da chi, come raccontano, ha stretto tra le braccia i propri figli mentre le pareti tremavano. Da chi ha continuato a pregare con il sangue ai piedi.
Questa Chiesa spezzata è anche la Chiesa della Resurrezione.
Una Chiesa che non si piega. Che continua a credere, a celebrare, ad amare.
E se il mondo tace, sarà l’iconostasi a parlare. Saranno le icone a raccontare il martirio. E il silenzio dei fedeli, raccolti tra i banchi, sarà più potente di mille proclami.
Non dimentichiamoli.
Non lasciamo che i cristiani della Siria diventino un popolo-fantasma. La Terra Santa non è solo Gerusalemme: è anche Damasco.
E il Corpo di Cristo, ieri, è stato di nuovo trafitto. Sull’altare. Con noi a guardare.