Perché senza Zelensky al tavolo l’incontro Putin–Trump rischia di destabilizzare l’Ucraina e l’ordine internazionale
Il prossimo 15 agosto, in Alaska, si terrà un vertice destinato a lasciare un segno nella diplomazia internazionale: Donald Trump e Vladimir Putin, faccia a faccia per la prima volta dal 2021. Una mossa che rompe di fatto l’isolamento internazionale del leader del Cremlino e che, a pochi mesi dall’escalation di sanzioni minacciate dagli Stati Uniti, rischia di ribaltare gli equilibri faticosamente costruiti in tre anni e mezzo di guerra in Ucraina.
L’incontro arriva in un momento delicatissimo: il conflitto si trova in una fase di logoramento reciproco. Nessuna delle due parti è in grado di ottenere la vittoria militare completa — Kiev non può liberare tutto il territorio con le sole armi, Mosca non può occupare l’intero Paese. In questo scenario, un vertice bilaterale tra Washington e Mosca, senza la presenza diretta di Volodymyr Zelensky, rischia di trasformarsi in un “Yalta 2.0”, ma senza il consenso dell’interessato.
Il problema della forma: “Niente sull’Ucraina senza l’Ucraina”
Il principio “Nothing about Ukraine without Ukraine” non è solo una formula politica: è una clausola di sopravvivenza strategica. In diplomazia, l’esclusione dal tavolo equivale alla marginalizzazione sul terreno. Per questo Zelensky si è attivato subito, mobilitando le capitali europee e convocando riunioni straordinarie, per evitare che l’incontro in Alaska si trasformi in una piattaforma dove discutere di cessioni territoriali o compromessi al ribasso.
Gli ucraini lo sanno bene: parlare di “scambi di territori” significa aprire la porta alla normalizzazione della conquista armata, minando il principio cardine dell’ordine internazionale post-1945. Non si tratta solo di linee su una mappa, ma di milioni di cittadini che, in caso di “tregua con scambio”, finirebbero sotto amministrazione russa — con tutte le conseguenze già viste a Boutcha, Mariupol o Melitopol.
La partita di Putin e il calcolo di Trump
Putin arriva all’appuntamento con due obiettivi: uscire dall’isolamento internazionale e consolidare sul terreno le conquiste territoriali ottenute dal 2022, congelando il conflitto a suo vantaggio. L’Alaska, con la sua valenza simbolica di “ponte” tra le due potenze, gli offre una cornice perfetta.
Trump, dal canto suo, gioca su più tavoli: cerca un successo diplomatico spendibile in campagna interna (magari con il miraggio di un Nobel per la pace) e vuole dare agli elettori l’immagine di un leader capace di “chiudere le guerre” con la stretta di mano. Ma il rischio è evidente: legittimare il Cremlino senza ottenere garanzie solide per Kiev.
Perché Zelensky deve essere lì
L’assenza di Zelensky non sarebbe solo un errore tattico, ma un colpo alla credibilità dell’intero fronte occidentale. Un accordo bilaterale USA–Russia, non negoziato con Kiev, aprirebbe una frattura tra Washington e le capitali europee, minerebbe la coesione della NATO e darebbe a Mosca un precedente per trattare sopra la testa delle vittime dell’aggressione.
L’Ucraina non rifiuta la diplomazia. Lo dimostra la proposta di cessate il fuoco incondizionato avanzata lo scorso marzo e respinta da Mosca. Ma negoziare non significa cedere in anticipo ciò che il nemico non è riuscito a conquistare militarmente.
La posta in gioco globale
Il vertice in Alaska non riguarda solo il Donbass o la linea del fronte: tocca il cuore del diritto internazionale. Se una potenza nucleare può ottenere territori con la forza e poi vederli legittimati da un accordo “di pace”, il messaggio per il resto del mondo è chiaro: la conquista armata torna a essere un’opzione percorribile. Sarebbe la fine di decenni di deterrenza giuridica e un ritorno a logiche pre-ONU.
Per questo, chi ragiona da stratega non può limitarsi a valutare la scena bilaterale. L’unico esito accettabile per l’Occidente — e per la stabilità internazionale — è un formato negoziale trilaterale in cui l’Ucraina siede allo stesso livello di Stati Uniti e Russia. Solo così il principio “niente sull’Ucraina senza l’Ucraina” potrà restare un pilastro e non una frase da archivio.
In Alaska, non è in gioco solo il futuro dell’Ucraina, ma il manuale d’uso delle relazioni internazionali per i prossimi trent’anni.