C’è un paradosso nella Spagna contemporanea: più ci si allontana dalla morte di Francisco Franco, più la sua ombra sembra dilatarsi. Non sulla politica — che pure conosce ricadute, estremismi e nuove destre — ma sulla memoria collettiva. È come se il Paese che ha scritto una delle transizioni democratiche più eleganti d’Europa avesse lasciato irrisolto qualcosa di profondo. E quel vuoto, oggi, attrae soprattutto i giovani: generazioni nate nella libertà ma che cercano — quasi con inquietudine — una forma di autorità simbolica che nessuno ha saputo offrire.

Un passato che non passa

La Spagna è un laboratorio europeo di come la storia, se non viene elaborata, ritorna. La guerra civile del 1936-1939 — con i suoi massacri, le sue ferite, le sue famiglie spaccate — non è mai stata metabolizzata fino in fondo. E il franchismo, durato fino al 1975, ha lasciato una memoria abbreviata, selettiva, a tratti manipolata. Lo Stato ha preferito voltare pagina senza rileggere. La Transición è stata un capolavoro politico, ma anche un compromesso psicologico: non si toccava il passato per non incrinare il futuro.

Così, in alcune città ci sono ancora vie, targhe, monumenti che richiamano il Caudillo o i suoi generali. Non sono moltissimi, certo. Ma esistono. Più importante: esistono nella coscienza. Per una parte dei cittadini — pochi ma rumorosi — Franco resta la figura dell’ordine, della stabilità, di un’autorità che “non c’è più”.

È una lettura distorta, ovviamente, ma non priva di motivazioni sociologiche.

La dittatura e il mondo esterno

Il franchismo fu una dittatura anomala per il suo tempo: nata con Mussolini e Hitler, si tenne lontana dalla Seconda guerra mondiale, sfruttando l’ambiguità per non essere travolta. Amica dell’Italia fascista, ma prudente con la Germania. Nazionalista, cattolica, autoritaria, ma pragmaticamente isolazionista. Questa peculiarità ha alimentato — decenni dopo — una narrativa facile: non era poi così feroce, non fece guerre, garantì stabilità. È una narrazione tossica, ma comprensibile se nessuno spiega davvero cosa fu la repressione, la censura, la paura quotidiana, il silenzio obbligato.

Le nuove generazioni e la vulnerabilità della libertà

La nostalgia franchista tra alcuni giovani non nasce dal desiderio di una dittatura. Nasce, paradossalmente, dal disagio per una democrazia che non ha dato loro radici. I governi degli ultimi vent’anni hanno alternato progressismo aggressivo e immobilismo burocratico, senza offrire un progetto culturale solido.

Gli attentati dell’11 marzo 2004 alla stazione di Atocha — che cambiarono la storia politica spagnola consegnando il governo a José Luis Zapatero — hanno inaugurato una stagione di riforme rapide, spesso percepite come calate dall’alto: matrimonio egualitario, riforme etiche, programmi scolastici sulla sessualità, leggi sulla vita e sulla famiglia. Interventi civili legittimi, certo. Ma senza un accompagnamento culturale, senza un dialogo comunitario, senza riconoscere che le società hanno bisogno di metabolizzare i cambiamenti per non percepirli come scosse telluriche.

A questo si aggiunge la precarietà economica: salari bassi, affitti impossibili, mancanza di prospettive. In queste crepe si inserisce la nuova destra populista, che offre ciò che molti cercano: semplicità. Un nemico, uno slogan, una soluzione forte. E soprattutto: un padre. Questa è la chiave. Una società senza padri simbolici è una società che cerca scorciatoie. E la nostalgia per Franco, in fondo, è la nostalgia per un’autorità immaginaria, non per una dittatura reale.

Cosa fare con la memoria?

Cancellare statue e strade non basta. Non serve. Anzi, rischia di alimentare il mito. Le democrazie mature non cancellano: spiegano. Contestualizzano. Educano.

Una Spagna adulta dovrebbe: preservare i luoghi del franchismo come luoghi di memoria, non di omaggio; introdurre nelle scuole un insegnamento serio, rigoroso, non ideologico, sulla guerra civile e sulla dittatura; sostenere una cultura della responsabilità e della libertà che non sia mera tecnica politica ma esperienza condivisa; costruire un dialogo transgenerazionale che restituisca ai giovani la figura simbolica del “padre democratico”, non del leader forte.

Perché la questione, oggi, non è Franco. È il vuoto che Franco riempie nell’immaginario di alcuni giovani. Un vuoto che parla di solitudini, di incertezze, di fragilità del legame sociale. Quando un Paese comincia a rimpiangere un passato autoritario, è perché il presente non gli offre un’idea di futuro.

La sfida della libertà

La libertà è un rischio. Richiede maturità. Richiede adulti. Richiede comunità.

Chi non è stato educato alla libertà la teme, o la svende. E chi non si sente figlio di una storia comune cercherà sempre un “padre” altrove: in un passato idealizzato, in un capo populista, in un potere che si presenta come protettore.

La Spagna democratica non è in pericolo. Ma la sua anima sì, se non tornerà a raccontarsi con onestà. Perché una democrazia che non sa spiegare le proprie origini lascia spazio ai fantasmi. E i fantasmi, si sa, tornano sempre più forti quando non si ha il coraggio di illuminarli.

Franco è morto. Ma la responsabilità civile — quella no — deve ancora nascere in molti cuori. È lì che si gioca la Spagna di domani.