La generazione dei fondatori europei — tutti cristiani, tutti cresciuti nell’orrore della guerra — non ha costruito l’Europa per renderla più forte ma per renderla più giusta.
Non per “preparare la guerra”, ma per impedire che la guerra fosse ancora possibile.
Oggi invece sembra che alcuni vogliano riportarci, culturalmente, a Sparta: gloria militare, spese belliche senza limiti, retorica muscolare un’Europa cristiana non può essere Sparta.
Un’Europa cristiana può essere solo quella che si alza e dice:
“La pace non è un’opzione. È il nostro nome.”
La vera domanda non è se l’Ucraina sopravviverà. È se l’Europa rimarrà cristiana.
Cristiana non solo nel senso confessionale, ma soprattutto nel senso culturale: una civiltà che crede nella dignità umana, nella politica come servizio, nel disarmo come strada, nel dialogo come virtù, nella giustizia come condizione della pace.
Se l’Europa perde questo, perde tutto.
Anche se moltiplica gli arsenali.
Anche se costruisce nuovi muri.
Anche se aumenta i droni.
La sopravvivenza dell’Europa non dipende dalla guerra.
Dipende dal coraggio di dire, di nuovo, ciò che un tempo era ovvio:
“Beati gli operatori di pace.”
Non i loro revisori di bilancio.
