Nel dialogo tra il filosofo sloveno e il teologo Milbank, il mistero dell’incarnazione come sfida comune alla fede e alla ragione

CULTURA: Il titolo, provocatorio, non è blasfemo: “mostruoso” in latino deriva da monstrum, ciò che mostra e sconvolge. C’è un punto in cui la teologia e la filosofia si guardano senza più potersi evitare: il Dio crocifisso. È lì che si colloca The Monstrosity of Christ: Paradox or Dialectic?, il libro in cui Slavoj Žižek, pensatore marxista e psicoanalitico, e John Milbank, teologo della Radical Orthodoxy, si confrontano sul significato dell’incarnazione. Cristo è “mostruoso” perché rivela l’impossibile — un Dio che si svuota di sé, che entra nel dolore umano e lo attraversa.

La fede come perdita o come dono

Per Žižek, la croce è il luogo in cui Dio abdica alla propria onnipotenza.

Sulla collina del Golgota, nell’ora del grido — “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” — non si rivela un piano provvidenziale, ma il vuoto stesso di Dio, la sua totale solidarietà con la condizione umana.

In questa prospettiva, il cristianesimo diventa la religione dell’abbandono: Dio non salva dall’alto, ma scompare nel dolore, e l’unico riscatto possibile è quello umano, nella fraternità e nella compassione.

È l’idea di un “ateismo cristiano”, in cui la fede sopravvive non come credenza, ma come gesto d’amore verso l’altro.

Milbank, dal canto suo, ribalta la logica dialettica in una teologia del paradosso.

Per lui, Dio non si annulla nella carne, ma si comunica attraverso di essa.

Il mistero cristiano non è la fine di Dio, ma la rivelazione della sua kenosi come atto d’amore: l’Onnipotente che si fa fragile per restituire al mondo il senso del dono.

La croce, per Milbank, non è un evento negativo ma generativo: da quel vuoto sgorga la comunione, e dal dolore la resurrezione.

Due linguaggi, una stessa ferita

L’uno parla il linguaggio della filosofia, l’altro quello della fede, ma entrambi — Žižek e Milbank — convergono nel riconoscere che il cristianesimo non può essere addomesticato.

Dio non è un concetto da difendere, ma un evento che mette in crisi ogni logica di potere.

Žižek, con la sua radicalità laica, restituisce alla fede il suo scandalo: la Croce come abisso di senso.

Milbank ricorda che proprio da quell’abisso nasce la grazia.

In fondo, i due si incontrano nel punto più vertiginoso della teologia: il momento in cui Dio tace.

Là dove l’uomo moderno si scopre incapace di credere, ma non smette di cercare, Cristo resta il segno che la verità si rivela non nell’onnipotenza, ma nella debolezza.

Il cristianesimo davanti al pensiero moderno

La forza di questo dialogo sta nel rifiutare i facili compromessi.

Žižek non “usa” il cristianesimo: lo prende sul serio, lo attraversa, lo espone al rischio del pensiero.

Milbank, dal canto suo, non difende la fede come fortezza, ma la propone come logica dell’amore che si dona.

E per chi crede, questa tensione è preziosa: perché mostra che il cristianesimo non si concilia con la ragione eliminando il mistero, ma accettando il paradosso.

Solo quando la fede affronta l’abisso, può rivelare la sua luce.

Il Dio che si lascia giudicare

Alla fine, The Monstrosity of Christ non è un testo contro Dio, ma un libro che ci riporta all’essenza del Vangelo: un Dio che si lascia giudicare dall’uomo per salvarlo.

Nel linguaggio di Žižek, questo gesto appare come “la morte di Dio”; in quello di Milbank, come la rivelazione dell’amore.

Ma la verità è che entrambi, ciascuno a suo modo, confessano il cuore del cristianesimo: il Dio che non domina, ma serve; che non condanna, ma condivide; che non trionfa, ma ama fino alla fine.

Forse, allora, la “mostruosità di Cristo” è solo un altro nome della sua misericordia, quella che non si lascia spiegare, ma soltanto accogliere. E in un tempo in cui la fede rischia di ridursi a opinione o riflesso culturale, il paradosso di Žižek e Milbank ci ricorda che il cristianesimo non ha paura dell’abisso, perché lo ha già attraversato.