Arriva la sentenza assolutrice su Sean Charles Dunn, un uomo che aveva lanciato un panino al tacchino contro un agente federale per poi essere catturato da una squadra d’assalto in casa sua nel cuore della notte e a quattro giorni dall’accaduto. Il capo d’accusa? Protestare contro gli assedi della Polizia.
In un’altra epoca, il gesto sarebbe finito al massimo in una vignetta satirica: un uomo che scaglia un panino al tacchino contro un agente federale. Ma nell’America di oggi, se osi lanciare un sandwich, rischi di trovarti dodici agenti SWAT in mimetica che ti sfondano la porta in piena notte.
È successo davvero a Washington. E, per quanto la storia faccia sorridere, quello che dice di noi — e del rapporto malato tra potere e cittadini — non è affatto comico.
Il protagonista, un 37enne ex militare dell’Aeronautica, protesta contro la presenza massiccia di agenti federali davanti a un locale gay e a un gruppo di immigrati. È convinto che l’intervento sia intimidatorio. Urla “fascisti” a ripetizione, poi — in un atto di ribellione che somiglia più a una gag — sacrifica il suo Subway, un panino lungo trenta centimetri.
Il tacchino vola, colpisce un agente in pieno giubbotto antiproiettile, e lì finisce il “crimine”.
Per due minuti.
Perché quattro giorni dopo, quando la storia diventa virale, ecco l’intervento: dodici agenti in assetto da guerra, sirene, telecamere, un video della Casa Bianca montato come un trailer di Hollywood.
Per catturare chi? Un uomo che aveva lanciato un panino.
Se non fosse inquietante, sarebbe ridicolo.
Il processo, alla fine, lo assolve. Ma la questione non è giuridica: è etica. È politica. È culturale.
Perché quel panino, per quanto inoffensivo, è diventato il simbolo di due tendenze opposte e complementari: Una macchina governativa che reagisce in modo sproporzionato, come se la critica fosse una minaccia armata; una parte della società che osserva tutto con una preoccupante indifferenza, come se l’eccesso di forza fosse ormai normale amministrazione.
Il dibattito pubblico si è tinto di surreale.
C’è l’agente che giura di aver percepito l’odore di senape e cipolla come una granata olfattiva.
Ci sono i graffiti stile Banksy con il “Sandwich Guy” in posa rivoluzionaria.
C’è perfino l’avvocato difensore che chiude l’arringa con un candido: «Questo caso riguarda un panino».
Eppure, dietro il siparietto, si intravede una domanda seria:
in un Paese che si dice libero, quanto è ancora permesso protestare prima che scatti la punizione esemplare?
“Non puoi colpire nessuno, nemmeno con un panino”, argomenta l’accusa.
E va bene.
Ma la difesa ribatte: se il panino fosse stato un gesto silenzioso, senza parole scomode, avrebbe provocato la stessa reazione?
La risposta è intuitiva. Non è stato processato il panino. È stato processato ciò che rappresentava: dissenso, critica, opposizione a un intervento percepito come ingiusto. E qui il sorriso ci muore sulle labbra.
Perché — come ha osservato una giurata — è strano dover decidere sul destino di un uomo che ha sbagliato gesto, sì, ma forse per un motivo giusto.
È strano sentirsi, nel 2025, più spaventati dalle reazioni del governo che dal gesto di un cittadino esasperato.
È strano, soprattutto, vedere come molti osservatori commentino la vicenda come fosse un episodio da talk show, senza cogliere ciò che vi è in gioco.
La tentazione, davanti a storie così, è riderci sopra. Ma l’umorismo può essere un modo elegante per non pensare. E oggi non possiamo permettercelo. Perché quando un panino diventa materia di repressione esemplare, significa che il problema non è il panino.
È il clima. È il linguaggio della forza usato per dire ai cittadini: “Non metterti contro di noi”. E allora, forse, la domanda vera non è perché qualcuno ha lanciato un Subway.
La domanda vera è: quanti, vedendo la sproporzione della risposta, hanno distolto lo sguardo, pensando che non fosse affar loro?
L’indifferenza — più ancora del panino — è ciò che colpisce al cuore la democrazia. Il rumore che fa è silenzioso. Ma è molto più forte di un tacchino arrosto lanciato in aria.


Stato bullista