Il vertice NATO di fine giugno all’Aia ha rilanciato il riarmo come orizzonte strategico per l’Europa, stabilendo un nuovo obiettivo: 5% del PIL per la difesa entro il 2035, di cui 3,5% per spese militari dirette e 1,5% per settori collegati, come infrastrutture e cybersicurezza. Un balzo enorme rispetto al già contestato 2%, che rischia di sconvolgere l’equilibrio tra sicurezza e coesione sociale.
In questo contesto, la premier italiana Giorgia Meloni ha aderito con enfasi, sfoderando il classico “Si vis pacem, para bellum”. Ma stavolta, non ha raccolto applausi. Non da chi vive nel Paese reale. Perché gli italiani, stretti tra caro vita, sanità allo stremo, scuola che crolla, giovani in fuga e famiglie schiacciate dall’inflazione, non possono esultare per una scelta che di fatto toglierà risorse proprio a quei settori dove il bisogno è più acuto.
Aumentare le spese militari: ma contro chi?
La retorica del riarmo si regge, da sempre, su un presupposto: l’esistenza di un nemico esterno. E in effetti, i documenti ufficiali indicano chiaramente chi dovrebbe essere questo nemico: la Russia di Putin.
Eppure, a oltre tre anni dall’invasione dell’Ucraina, Mosca non è riuscita nemmeno a superare il Donbass, logorata da perdite militari e crisi interna. Non è in grado di minacciare né Varsavia né Berlino, né tantomeno Roma. Parlare di difesa europea contro “l’orso russo” serve ormai più a giustificare bilanci militarizzati che a rispondere a un pericolo concreto.
Nel frattempo, nessuna risposta strategica è stata data su Gaza, dove la popolazione civile continua a morire sotto le bombe, e dove l’Occidente non sembra capace né di frenare l’escalation né di proporre una via politica credibile. Più armi non hanno risolto nulla, né in Ucraina né in Medio Oriente. Hanno solo aumentato il numero dei morti.
L’Italia nella trappola del riarmo
Per l’Italia, passare al 5% del PIL in spesa militare significherebbe oltre 70 miliardi l’anno. Un raddoppio netto rispetto all’attuale livello. E Meloni assicura che questo non intaccherà sanità, scuola o welfare. Ma come è possibile?Il bilancio dello Stato non è un pozzo senza fondo. Ogni miliardo in più destinato agli armamenti è un miliardo in meno per ospedali, trasporti pubblici, edilizia scolastica, pensioni, asili nido.
Non basta dichiarare “faremo tutto”: bisogna dire come. E a oggi, la risposta è una sola: più debito pubblico o tagli altrove. In entrambi i casi, saranno i cittadini — soprattutto i più fragili — a pagare il prezzo di un riarmo che risponde più a logiche geopolitiche esterne che a interessi reali del Paese.
“Si vis pacem, para pacem”: la lezione della Santa Sede
Nel silenzio delle cancellerie, una voce si è distinta con chiarezza morale e coraggio intellettuale: quella della Santa Sede. Papa Leone XIV ha rilanciato l’alternativa vera alla logica dell’escalation: “Se vuoi la pace, prepara la pace”.
Né idealismo né retorica: ma una visione fondata sulla giustizia come condizione della pace, come ricordava già il cardinale Casaroli a Helsinki nel 1975. Per la Santa Sede, la pace non si costruisce con la minaccia della forza, ma con il concorso di tutte le parti, in un processo continuo e condiviso. La vera sicurezza nasce da:
- relazioni giuste tra i popoli,
- non ingerenza negli affari interni degli Stati,
- rispetto della sovranità e dei diritti umani,
- etica nei rapporti internazionali,
- risoluzione pacifica delle controversie.
Guerra ai problemi reali
Mentre i governi si preparano a spendere in droni, sottomarini e satelliti, l’Italia vera combatte battaglie ben diverse: contro la solitudine degli anziani, contro l’abbandono scolastico, contro le disuguaglianze crescenti, contro le fratture territoriali. Il vero nemico non è a Mosca: è l’ingiustizia sociale, l’indifferenza, la marginalizzazione.
E allora viene spontaneo chiedersi: che cosa abbiamo imparato da due guerre mondiali, da Hiroshima, da Sarajevo, da Gaza? Che la pace non nasce dai carri armati, ma dalla dignità di ogni persona, dalla fiducia tra i popoli, da una giustizia concreta e operativa.
Il vertice NATO ha segnato un passaggio epocale: più spesa militare, più distanza dai bisogni reali. Ma la sicurezza non è solo difendersi: è garantire una vita degna ai propri cittadini. E su questo fronte, nessun missile può sostituire un medico, nessun caccia può rimpiazzare un insegnante, nessun carro armato vale quanto una casa dignitosa per una famiglia in difficoltà.
Se davvero vogliamo la pace, prepariamola con la pace. E soprattutto, prepariamola con la giustizia.