Quando pensiamo alla Chiesa cattolica, l’immagine che ci viene in mente è quasi sempre la stessa: Roma, il Papa, la Messa in parrocchia, il Messale romano, forse qualche accenno al latino. Ma questa è solo una parte del mosaico. La verità è che la Chiesa cattolica è molto più grande, più ricca, più plurale di quanto pensiamo. Non è un monolito: è un poliedro. Non parla una sola lingua: ne parla almeno ventiquattro.
Sì, perché nel diritto canonico cattolico si parla di 24 Chiese cattoliche “sui iuris”. Cosa significa? Significa che la Chiesa cattolica non è fatta solo dalla Chiesa latina – quella che tutti conosciamo – ma da 23 altre Chiese orientali, ciascuna con la sua liturgia, la sua spiritualità, la sua storia, i suoi santi, la sua lingua. Tutte unite nella stessa fede e sotto la guida del Papa. Tutte pienamente cattoliche. Ma profondamente diverse.
Non una, ma ventiquattro
La Chiesa latina è di gran lunga la più numerosa. È quella che celebra il rito romano, ambrosiano o mozarabico, quella dei parroci, dei preti celibi, delle parrocchie con campanile e organo. Ma poi ci sono le altre 23, sparse soprattutto tra il Medio Oriente, l’Europa dell’Est, l’Africa e l’India.
Ce ne sono di rito bizantino, come la Chiesa greco-cattolica ucraina, quella rumena, quella melchita. Ce ne sono di rito siriaco, come i maroniti in Libano o i siro-malabaresi in India. Ci sono gli armeni cattolici, con le loro melodie struggenti e la liturgia che sembra una sinfonia. Ci sono i copti cattolici in Egitto, gli etiopi con i loro canti in lingua ge’ez, gli eritreici, i caldei, i siro-cattolici…
Alcune hanno un patriarca, altre un arcivescovo maggiore, altre un sinodo, altre ancora una gerarchia più semplice. Tutte hanno un volto, una storia e un modo proprio di celebrare il Vangelo. Tutte, però, sono in comunione piena con Roma, e nessuna è “più cattolica” delle altre.
Parole diverse, stesso Mistero
Una delle cose più belle è che ognuna di queste Chiese celebra la stessa Eucaristia in una lingua diversa. Non solo lingue moderne: siriaco, greco, armeno, slavo ecclesiastico, copto, arabo, ge’ez… molte di queste lingue erano già parlate nei primi secoli del cristianesimo.
Non si tratta di folklore o di archeologia liturgica. Ogni lingua è il modo con cui un popolo ha imparato a dire “Padre nostro”, a invocare lo Spirito, a cantare l’Alleluia. Nella varietà dei riti, la Chiesa si mostra per quello che è: una fede unica, espressa in mille idiomi.
E il latino?
Il latino ha avuto un ruolo importantissimo nella storia della Chiesa latina: è stata la lingua dell’unità, del diritto, della teologia, della liturgia per oltre un millennio. Ma non è mai stata la lingua di tutta la Chiesa cattolica. Le Chiese orientali non l’hanno mai adottato, e anzi, dopo il Concilio Vaticano II, molte di esse hanno fatto un cammino di “delatinizzazione”, recuperando le loro tradizioni originali.
È bene ricordarlo quando qualcuno oggi contrappone “tradizione” a “novità”. Le Chiese orientali ci insegnano che la vera tradizione non è ripetere il passato, ma ritrovare le radici vive, senza cristallizzarle.
Un tesoro spesso ignorato
Quante volte abbiamo sentito parlare della Chiesa siro-malabarese? O della liturgia armena? O della processione eucaristica con il cucchiaio nella liturgia bizantina? Eppure queste Chiese non sono minoranze staccate, non sono “diverse da noi”: sono parte di noi. Fanno parte della cattolicità che professiamo ogni domenica nel Credo.
Forse, se le conoscessimo meglio, capiremmo che la cattolicità non è sinonimo di uniformità, ma di comunione nella diversità. Forse scopriremmo che la liturgia può essere diversa senza per questo essere meno vera. Che non tutto dev’essere romano per essere cattolico.
Una Chiesa che respira con due polmoni
San Giovanni Paolo II diceva che “la Chiesa deve respirare con due polmoni: quello occidentale e quello orientale”. E Papa Francesco, nell’incontrare i rappresentanti delle Chiese orientali, ha ripetuto: senza di loro, la Chiesa non è pienamente cattolica.
Conoscerle, studiarle, valorizzarle non è un lusso per teologi o per esperti di liturgia, ma un dovere ecclesiale e spirituale. Perché nella loro liturgia, nella loro teologia, nella loro esperienza del dolore e del martirio, queste Chiese portano una parte preziosa del volto di Cristo oggi.
Una comunione che profuma di incenso
La prossima volta che pensiamo alla Chiesa cattolica, proviamo a immaginarla come un mosaico:
- con tessere dorate bizantine,
- con canti in aramaico,
- con bambini etiopi che ballano il Gloria,
- con anziane caldee che sussurrano la Messa nel dialetto di Gesù.
È ancora la stessa Chiesa. Ma è più grande, più bella, più viva di quanto pensiamo.
Non c’è una sola forma per dire “Credo in Dio”,
ma c’è un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Signore.
E ventiquattro modi per cantarlo. Tutti cattolici. Tutti veri.