Negli ultimi giorni Leone XIV ha deciso di sopprimere una commissione vaticana per la raccolta fondi che era stata istituita lo scorso febbraio, mentre Papa Francesco era ricoverato in ospedale. Quell’organismo, composto da membri senza esperienza specifica e nato in circostanze poco chiare, aveva sollevato dubbi sulla sua credibilità e sulla sua coerenza con la riforma economica avviata da Francesco negli anni precedenti. Con un decreto netto e ordinato, Leone XIV ha abolito la commissione, trasferito i suoi beni alla Santa Sede e annunciato la creazione di un nuovo gruppo di lavoro strutturato secondo criteri di trasparenza e competenza. Una decisione che segna la continuità — e il completamento — del percorso di risanamento finanziario iniziato dal suo predecessore.
Nel mondo vaticano — dove ogni gesto amministrativo è in realtà un segno politico e ogni decreto racconta una stagione — la soppressione della commissione straordinaria per la raccolta fondi è molto più di un atto tecnico. È un gesto di governo: puntuale, misurato, perfettamente coerente con il percorso di trasparenza avviato da Papa Francesco e oggi portato a compimento da Leone XIV.
Quella commissione, annunciata il 26 febbraio mentre Francesco era ricoverato per una doppia polmonite, aveva colpito per alcune anomalie: la composizione esclusivamente italiana, l’assenza di veri esperti di fundraising, la guida affidata a un funzionario della Segreteria di Stato che in passato aveva già visto ridimensionate le proprie competenze dopo il caso del palazzo londinese.
Anche la mancanza di rappresentanti statunitensi — proprio mentre i fedeli americani restano tra i maggiori sostenitori economici della Santa Sede — era apparsa una stonatura.
Il rischio percepito era che, nel momento di fragilità del pontefice, fosse nato un organismo poco adatto a garantire quella trasparenza che Francesco aveva con forza imposto nei dodici anni del suo pontificato. Leone XIV, fedele alla linea e consapevole delle aspettative del mondo cattolico internazionale, ha scelto la via più lineare: azzerare l’assetto, devolvere i beni alla Santa Sede e ripartire da un nuovo gruppo di lavoro composto da membri qualificati e nominati direttamente dal papa.
Non si tratta di una retromarcia nei confronti del predecessore — tutt’altro. È la prosecuzione di una logica. Francesco aveva costruito la cornice normativa e culturale della riforma finanziaria vaticana; Leone XIV la sta rifinendo, correggendo le storture e chiudendo ciò che era nato in condizioni eccezionali.
La decisione arriva in un momento in cui i numeri offrono segnali confortanti: deficit strutturale dimezzato, bilancio 2024 in attivo, donazioni in risalita e risultati incoraggianti sia negli ospedali vaticani che nel settore immobiliare. Restano problemi importanti, come l’annoso tema del fondo pensioni, e non mancano le richieste di maggiore chiarezza da parte dei dipendenti laici. Ma Leone XIV, con il suo stile concreto, non drammatizza: «Non sto perdendo il sonno», ha detto quest’estate, riconoscendo allo stesso tempo che la crisi non è terminata, ma è gestibile.
Il nuovo papa sa che la credibilità finanziaria si costruisce per coerenza, non per annunci. E che il mondo dei donatori — soprattutto statunitensi — attendeva un segnale chiaro: le strutture che gestiscono denaro per la Santa Sede devono essere competenti, controllate, trasparenti.
La soppressione della commissione risponde precisamente a questa esigenza.
Così, ciò che poteva apparire come una rottura diventa, nel linguaggio silenzioso della Curia, un completamento. Una tappa naturale nel passaggio da un pontificato all’altro, dove la fedeltà all’intenzione di Francesco trova in Leone XIV un interprete rigoroso e affidabile.
Perché nella lunga storia della Chiesa, la vera riforma non è mai l’effetto di un giorno. È un cammino, e si compie — sempre — a piccoli passi, ma nella stessa direzione.
