I tradiprotestanti non risparmiano neanche Leone XIV
Dopo la pubblicazione di Dilexi Te, la prima Esortazione Apostolica di Leone XIV, alcuni ambienti tradizionalisti — gli stessi che da anni contestano il Magistero romano con toni sempre più anti-cattolici e perfino anti-cristiani — hanno gridato allo scandalo. Per loro, il Papa sarebbe colpevole di “buonismo”, “cedimento dottrinale”, “abbandono dell’ordine”, fino alla caricatura grottesca di un presunto “vangelo migrante”. Eppure, a leggere davvero il testo, si scopre che ciò che questi gruppi rifiutano non è la teologia del Papa, ma la semplicità disarmante del Vangelo stesso.
I tradizionalisti impazienti: quando la dottrina diventa bandiera
Le critiche più affrettate rivolte a Dilexi Te provengono da una certa area tradizionalista che ha letto l’Esortazione come un tentativo di “ammorbidire” la dottrina. È una lettura poco attenta, più reattiva che meditativa. Leone XIV non smonta nulla: riafferma l’essenziale. Ma per chi vede la dottrina come una trincea da difendere, più che come una luce da incarnare, ogni parola che non sia tagliente appare sospetta. Si confonde la fermezza con la rigidità, la fedeltà con l’immobilità. Eppure, il testo è limpido: non tocca il deposito della fede, semmai lo libera da usi impropri, ricordando che il Vangelo non è un recinto identitario ma un annuncio di misericordia.
I neo-pelagiani moralisti: la carità ridotta a performance
Un’altra frangia critica — quella neo-pelagiana, spesso mascherata da “difesa del buon ordine morale” — legge Dilexi Tecome un invito al buonismo. La povertà evangelica sarebbe confusa con la miseria sociale, la carità con l’assistenzialismo, la prossimità con la cedevolezza. Ma il Papa dedica pagine intere a distinguere la carità cristiana dalla filantropia. Ricorda che senza grazia, l’azione diventa prestazione. E che senza interiorità, la morale si trasforma in teatro. Chi accusa Leone XIV di “fare dei poveri un assoluto” dimentica che il cuore della tradizione cattolica — dai Padri al Concilio — lega la salvezza alla gratuità, non alla performance. La Chiesa non è un tribunale morale né un’agenzia etica: è una comunità generata dalla misericordia.
Gli gnostici dell’astratto: la fede senza carne, l’uomo senza volto
C’è poi una critica più sottile, di taglio quasi gnostico, che rimprovera al Papa di “sporcarsi troppo” con le ferite del mondo: migranti, esclusi, fragili. Sarebbe più “dignitoso”, dicono, mantenere il Vangelo in un’alta purezza spirituale, senza lasciarlo toccare dai drammi umani. Ma Dilexi Te non cede a questa tentazione antica: ricorda che la fede cristiana non può essere un esercizio mentale, né una spiritualità disincarnata. La dignità precede ogni status giuridico perché nasce da Dio, non dai documenti. La vicinanza al povero non è un’aggiunta sociologica ma la pelle stessa del Vangelo. Per gli gnostici, tutto questo è disturbante: mette Dio troppo vicino, troppo visibile, troppo concreto.
I politici di destra xenofobi: il confine trasformato in dogma
La critica più rumorosa, però, viene da chi legge l’Esortazione come un attentato alla sicurezza nazionale. Secondo costoro, il Papa ignorerebbe la distinzione tra ingressi regolari e irregolari, lasciandosi trascinare da un “buonismo anti-Stato”. Eppure, nel testo questa semplificazione non esiste. Leone XIV non elimina Cesare: impedisce che diventi un idolo. Non nega il ruolo delle leggi, ma ricorda che nessuna legge, per quanto severa, può cancellare il volto di chi arriva. È qui che la politica più dura, quella che ha bisogno di muri per apparire forte, si sente minacciata: Dilexi Te demolisce l’illusione che la dignità sia una concessione dello Stato. E afferma che, prima del migrante, c’è la persona; prima del confine, la coscienza; prima del dossier, la storia. È un messaggio evangelico, non geopolitico, ma per chi usa il confine come strumento identitario diventa quasi un affronto.
Un Papa che non divide ma converte: la vera ragione del fastidio
Alla fine, tutte queste critiche hanno un denominatore comune: il fastidio verso una Chiesa che non vuole essere né schierata, né arruolata, né polarizzata. Leone XIV non parla come un ideologo: parla come pastore. E questo basta per mandare in crisi chi aveva già scritto la trama del pontificato prima ancora che il Papa parlasse. Dilexi Te non cambia la dottrina; cambia il tono. Non annuncia un programma politico; richiama un criterio evangelico. Non parla a una parte; parla a tutti. E proprio per questo disturba. La mitezza, quando è vera, non è debolezza: è provocazione. Il Vangelo, quando non serve a confermare le nostre identità ferite, appare sempre inadatto. Ma è proprio lì che inizia il discernimento cristiano.
Un’Esortazione che non va difesa, ma ascoltata
Il problema non è Dilexi Te. Il problema è ciò che ciascuno porta davanti al testo. Chi cerca un’arma politica non la troverà. Chi cerca un pretesto polemico rimarrà deluso. Chi cerca la voce del Vangelo — la voce che chiede di guardare al povero senza paura, allo straniero senza pregiudizio, alla fragilità senza disprezzo — troverà una parola limpida, mite e solida. In un tempo che trasforma tutto in scontro, Leone XIV sceglie la via più difficile: ricordare alla Chiesa che l’unico vero confine è quello del cuore. È forse questo, più della teologia o della politica, ciò che oggi risulta così radicale. Il Papa non chiede di scegliere un campo: chiede di scegliere Cristo. E questo, per molti, è ancora il punto più scomodo di tutti.

Ringrazio molto per la chiarezza e il linguaggio divulgativo di un fenomeno reale benché di nicchia.