La pace al prezzo dell’anima: l’Ucraina, l’Europa e il nuovo disordine mondiale
C’è un punto, nella storia, in cui la geopolitica smette di essere un esercizio per tecnocrati e diventa una questione di coscienza. L’Ucraina oggi si trova esattamente lì: in bilico tra la propria dignità nazionale e un piano di pace che — nelle intenzioni americane — dovrebbe “chiudere il dossier” e aprirne un altro, molto più grande, quello della sfida con la Cina.
Le 28 proposte del presidente Trump non sono un semplice documento diplomatico: sono un’aut aut. Entro la festa del Thanksgiving, dice Washington, Kyiv dovrebbe accettare una pace che comporta la rinuncia formale a parti del Donbass e la conferma definitiva della perdita della Crimea. In caso contrario, niente più armi, niente più intelligence, niente più protezione. Una pace condizionata, una pace a tempo, una pace che sa di ultimatum. Zelensky lo ha detto con una lucidità quasi dolorosa: ci costringono a scegliere tra dignità e sopravvivenza.
L’Europa, intanto, osserva con un disagio evidente. Perché questa proposta smaschera un imbarazzo che covava da tempo: il Vecchio Continente non è protagonista della vicenda ucraina, ma spettatore. Semplicemente, subisce. E oggi scopre che il principale alleato, gli Stati Uniti, non vogliono più una guerra lunga a est, preferiscono un riassetto globale. La pace in Ucraina diventa la prima pedina su una scacchiera che ha un nome preciso: contenere la Cina.
Il reintegro della Russia nel G8 — previsto dal piano — è più che un gesto simbolico. È l’inizio di una manovra di sganciamento: Mosca deve essere riportata dentro il recinto occidentale, almeno parzialmente, per non lasciarla scivolare troppo nelle braccia di Pechino. E non è utopia: lo scambio immaginato dagli strateghi americani è chiaro. Alla Russia, la normalizzazione internazionale e un riconoscimento di faccia sul terreno ucraino; agli Stati Uniti, accesso privilegiato alle materie prime, canali nell’Artico e una cooperazione fredda, misurata, sulla tecnologia strategica. Più IA per loro, più risorse per Washington. Un gelo cordiale, ma utile.
Il vero obiettivo, infatti, non è l’Est europeo. È l’Estremo Oriente. È la Cina, percepita come il rivale sistemico e definitivo. Tutto il resto è contorno, cornice, strumento. L’Ucraina è diventata — suo malgrado — una moneta negoziale, un “costo necessario” per spostare la Russia dal tavolo dei BRICS e riportarla, almeno parzialmente, sotto un’influenza occidentale. È geopolitica di altissima quota, certo. Ma anche geopolitica a sangue freddo.
E l’Europa? L’Europa balbetta. Non può accettare apertamente la cessione di territori ucraini perché significherebbe tradire la logica stessa del diritto internazionale. Non può opporsi frontalmente agli Stati Uniti perché non ha sufficiente autonomia strategica, né militare né energetica. Resta così sospesa in un limbo: difendere l’Ucraina, ma senza poter realmente influire sul negoziato; sostenere la legalità internazionale, ma con la consapevolezza che il vento della storia soffia altrove.
In mezzo, c’è un popolo stremato. C’è un Paese che ha scelto la libertà e che ora vede la libertà trasformarsi in una voce marginale dentro una partita più grande. Una partita che decide equilibri globali, bilanciamenti tra superpotenze, nuove rotte nell’Artico, domini tecnologici e commerciali.
Ma l’Ucraina, nella sua sofferenza, ci ricorda qualcosa che la geopolitica spesso dimentica: che non esistono territori “cedibili” quando su quei territori vivono persone, famiglie, bambini. Che la pace non può mai essere solo un accordo di potenze, ma deve essere anche giustizia. Che sacrificare l’integrità di un popolo per la stabilità globale non è neutrale: è una scelta morale, prima ancora che politica.
Il compito dell’Europa, oggi, è proprio questo: evitare che la pace si trasformi in un baratto. Ritrovare il coraggio di una visione propria, che metta al centro la dignità dei popoli e non soltanto le logiche di contenimento strategico. E ricordare agli alleati che la libertà non è un bene negoziabile — né entro Thanksgiving, né mai.
Se l’Ucraina viene lasciata sola, non perderà soltanto Kyiv. Perderemo — tutti — un pezzo della nostra anima europea. È un rischio che non possiamo permetterci. E il tempo, questa volta, scorre più veloce della diplomazia.
