Parliamo di “territorio”. Non sono schemi su una mappa. Sono città come Kramatorsk e Sloviansk, che prima dell’invasione contavano centinaia di migliaia di abitanti. Consegnarle significherebbe abbandonare i residenti a esecuzioni sommarie, torture, deportazioni: tutto ciò che l’occupazione russa ha già mostrato di portare con sé.
Trump lo chiama realpolitik, ma la storia ci avverte. Nel 1938 Hitler rivendicò i Sudeti come “garanzia di pace”. Un anno dopo invase la Polonia. A Yalta, nel 1945, Stalin ottenne le Curili che non gli appartenevano, e ottant’anni dopo il contenzioso resta aperto. Ogni volta che si è scambiata terra per la promessa di sicurezza, il risultato è stato più guerra, non meno.
E qui veniamo al nodo delle “garanzie di sicurezza”. Come si può garantire la sopravvivenza di una nazione quando il suo vicino armato di nucleare nega perfino che essa esista? L’unica garanzia plausibile sarebbe l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Ma proprio questa prospettiva è ciò che Putin definisce intollerabile, la ragione stessa con cui ha giustificato l’invasione.
Da qui nasce la proposta, rilanciata anche dalla premier Giorgia Meloni, di un compromesso a metà: fornire a Kyiv la protezione collettiva prevista dall’articolo 5 della Nato, senza un’adesione formale all’Alleanza. Una sorta di Nato de facto che, insieme al massiccio invio di armi, dovrebbe scoraggiare ulteriori offensive russe.
È questa l’impostazione che il professor Alessandro Orsini critica con durezza: perché Putin dovrebbe cedere, se l’Europa arma l’Ucraina fino ai denti e nel contempo le offre lo scudo politico-militare dell’intero Occidente? Non si rischia piuttosto di spingerlo a radicalizzare lo scontro, convincendolo che non si tratta più di un conflitto con Kyiv, ma di una guerra esistenziale contro la Nato?
Il pericolo è che, stanco di un conflitto che sembra infinito, il mondo accetti l’idea che la pace valga il prezzo della rinuncia alla giustizia. Ma una pace senza giustizia è solo una tregua fragile, terreno fertile per nuove violenze.
Il punto non è quanto Zelensky possa cedere per fermare la guerra. Il punto è quanto l’Occidente è disposto a difendere un principio semplice e decisivo: i popoli non si scambiano come pedine. Senza questo, qualsiasi accordo sarà scritto non sull’inchiostro, ma sulla sabbia.