Doveva essere una guerra lampo. Lo ripetevano in Russia, lo temevano in Occidente, lo temevano gli stessi ucraini. Tre giorni per entrare a Kiev: così parlava la propaganda. Eppure, tre anni dopo, ci troviamo davanti a un conflitto che non conosce tregua, una guerra di logoramento che divora uomini, città, speranze.
Come è stato possibile? La risposta non sta soltanto nelle strategie militari fallite o nelle armi inviate dall’Occidente. C’è qualcosa di più profondo: l’illusione di poter piegare un popolo senza calcolarne la volontà. Raymond Aron, analista lucido delle guerre del Novecento, parlava di “illusioni retrospettive”: ciò che sembrava assurdo ieri, oggi ci appare inevitabile. Ma la storia non è mai inevitabile. È fatta di sorprese, di scelte, di resistenze. L’assurdo di ieri – una guerra in Europa – è diventato la quotidianità di oggi.
Questa guerra continua perché nessuno può vincerla del tutto, e nessuno vuole perderla. La Russia non può rinunciare al sogno imperiale che la sostiene; l’Ucraina non può cedere la propria indipendenza senza tradire se stessa. L’Occidente non può lasciare sola Kiev, ma non può nemmeno permettersi uno scontro diretto con Mosca. È così che la guerra si trasforma in attrito, in logoramento: un equilibrio di forze che somiglia più a un pantano che a una vittoria.
Eppure la cosa più scandalosa non è questo equilibrio, ma il paradosso che lo sostiene. Due nazioni a maggioranza ortodossa, due popoli cristiani, condividono lo stesso patrimonio spirituale, pregano la stessa liturgia, celebrano le stesse feste, eppure si combattono come nemici irriducibili. È la tragedia del cristianesimo piegato a ideologia nazionale, del Vangelo ridotto a bandiera.
Si può uscire da questa trappola? Non esistono soluzioni facili. Ciò che il buon senso insegna, tuttavia, è che nessuna guerra interminabile produce vincitori: produce solo rovine. Se una pace non è ancora all’orizzonte, resta almeno la responsabilità di prepararla. Con la pazienza della diplomazia, con la forza mite delle mediazioni, con la voce delle Chiese che – se non vogliono perdere la loro anima – devono gridare che il massacro tra fratelli è un sacrilegio.
Perché la pace non è mai una resa. È un compromesso alto, capace di restituire dignità a chi difende la propria libertà e, insieme, di disarmare le pretese di chi sogna imperi impossibili. È l’unica vittoria che la storia riconosce davvero: la vittoria della vita sulla morte.
In fondo, il conflitto in Ucraina ci ricorda che le guerre iniziano sempre per illusioni – di potenza, di rapidità, di inevitabilità – e finiscono solo quando qualcuno ha il coraggio di infrangerle.