Coniate tre monete per significare in tre spazi sacri una comunione nella diversità tra le religioni abramitiche
Ci sono gesti che parlano più delle parole. Piccoli segni, antichi come il metallo che li porta incisi, capaci di dire ciò che i trattati spesso non riescono a esprimere. È accaduto ieri al Campidoglio, nel cuore della Roma civile e millenaria, dove è stato presentato un progetto che, nella sua essenzialità, ha il peso di un atto profetico: tre monete d’argento che portano il volto di tre luoghi sacri – San Pietro, il Tempio Maggiore, la Grande Moschea – racchiusi in un unico trittico dedicato alle fedi abramitiche.
Un’intuizione tutta italiana, maturata nel dialogo paziente tra l’arcivescovo Vincenzo Paglia, il rabbino capo Riccardo Di Segni e l’imam Nader Akkad, e resa possibile dal sostegno del Ministero dell’Economia e della Zecca dello Stato. Un’opera simbolica che non celebra l’uniformità – impossibile e non desiderabile – ma la pacifica prossimità, la scelta di abitare la stessa città senza rinunciare alla propria identità.
Non stupisce che il motto inciso sia: “In Abramo – Tre fedi una visione”.
Perché Abramo, padre dei credenti, non è un’idea astratta. È il principio vivo che accomuna storie differenti: un uomo chiamato a partire, a fidarsi, a uscire dalle tende per guardare le stelle e scoprirvi la promessa. Quelle stesse stelle che brillano sul bordo delle monete, richiamando la discendenza numerosa non solo per sangue, ma per fede.
Il fatto che Roma – città che sovrappone memorie pagane, cristiane, ebraiche, islamiche – ospiti un progetto del genere ha un valore particolare. Non una semplice collezione numismatica: una catechesi civile, che ricorda a credenti e non credenti che la convivenza non è frutto del caso, ma risultato di una scelta: scegliere il volto dell’altro prima che il suo nome.
Le parole pronunciate ieri dall’imam Akkad nell’aula Giulio Cesare, introducendo il suo discorso con la benedizione islamica e rivolgendosi con amicizia al vescovo Paglia e al rabbino Di Segni, sono state il contrappunto perfetto di questa liturgia laica.
Ha ricordato come la Grande Moschea, cattedrale islamica progettata da Portoghesi e inaugurata trent’anni fa, non sia un corpo estraneo nella città, ma parte del suo respiro spirituale. Accanto a San Pietro e al Tempio Maggiore, non per conquistare uno spazio, ma per condividere un orizzonte.
Tre edifici, tre storie, tre liturgie: eppure un unico cielo.
Quel cielo romano che da secoli raccoglie preghiere diverse e le consegna allo stesso vento.
In tempi in cui le identità religiose vengono spesso agitate come strumenti di conflitto, un trittico di monete può sembrare un gesto piccolo. In realtà è un contro-narrativo potente: ricorda che il dialogo non nasce da grandi dichiarazioni, ma dalla lenta capacità di sedersi insieme, discutere, progettare, incidere – letteralmente – un messaggio comune.
E che un Paese laico, quando riconosce e sostiene il cammino delle sue comunità religiose, non indebolisce la democrazia: la rafforza.
Forse queste monete non circoleranno ovunque. Ma circolerà il loro spirito: la convinzione che la pace non è un ecumenismo di superficie, bensì un’arte quotidiana, fatta di rispetto, memoria, ascolto.
E mentre le tre fedi si guardano negli occhi da un minuscolo cerchio di argento, Roma ricorda a sé stessa – e al mondo – una verità sempre antica e sempre nuova: che le differenze, se abitate con intelligenza e con fede, non dividono, ma illuminano.
