Teheran si è fermata. In piazza Enghelab, davanti alle massime autorità della Repubblica Islamica e a una folla immensa e silenziosa, si sono svolti i funerali di Stato per decine di generali e scienziati iraniani uccisi nei recenti attacchi aerei attribuiti a Israele. Le bare, avvolte nel tricolore nazionale, sono state portate in processione come reliquie di un sacrificio patriottico. Le vittime – ufficialmente 62, tra cui tre comandanti dei Pasdaran e otto fisici nucleari – sono cadute in una delle offensive più chirurgiche e destabilizzanti mai subite dall’Iran.
Ma oltre al dolore, il Paese è attraversato da un senso di vulnerabilità. Non si tratta solo dell’impatto militare. A inquietare davvero sono le modalità con cui questi omicidi sono stati compiuti: azioni mirate, puntuali, personalissime, come se chi ha colpito conoscesse la vita quotidiana di ogni bersaglio. E infatti, è così.
Spionaggio tra i salotti: il volto nascosto della guerra
Secondo un’approfondita inchiesta francese (Le Monde, Le Télégramme), dietro le uccisioni si nasconde una sofisticata rete di infiltrazione del Mossad, attiva da anni nel cuore della società iraniana. Non solo satelliti e droni: la vera arma è stata la prossimità. Donne ben educate, parlanti farsi impeccabile, seducenti nei modi ma invisibili nei documenti, sono entrate nei circoli colti di Teheran, frequentando università, eventi culturali, persino i salotti delle mogli dei generali.
Alcune di loro, fingendosi interpreti, attiviste, persino organizzatrici di beneficenza, hanno guadagnato la fiducia di mogli, figli e sorelle degli ufficiali, arrivando a condividere confidenze, routine domestiche, fotografie, nomi di figli e orari degli spostamenti. Grazie a queste informazioni, le azioni israeliane hanno colpito con una precisione quasi intima: in cucina, davanti alla tv, all’ingresso di casa.
Familiari tra le vittime: la linea rossa è stata superata
In molti casi, le uccisioni non hanno risparmiato i civili. Una delle vittime è la figlia ventunenne di un ingegnere nucleare, colpita con il padre da un ordigno esplosivo piazzato nel veicolo familiare. Altri sono stati sorpresi in casa, con madri o mogli che hanno condiviso la stessa sorte. Una guerra silenziosa, ma profondamente umana: fatta di volti, di relazioni, di gesti quotidiani trasformati in strumenti di morte.
La reazione iraniana è stata durissima: arresti di massa, tre esecuzioni per spionaggio, blindatura di alcune città e richieste formali all’ONU di condanna per quello che Teheran definisce “terrorismo di Stato”. Il presidente Pezeshkian ha parlato di una “ferita morale che grida vendetta”, ma ha anche fatto appello alla moderazione, segno che il regime sa quanto pericolosa sia oggi un’ulteriore escalation.
Una lezione inquietante anche per l’Europa
Le dinamiche svelate da questo caso dovrebbero interrogare l’intera comunità internazionale. Se la guerra si combatte ormai nei gesti più comuni, nelle relazioni interpersonali, nei salotti domestici, siamo di fronte a una mutazione profonda del concetto di sicurezza. Lo spionaggio non è più un gioco tra Stati, ma si è fatto intrusione nella vita privata, invasione dell’intimità. E quando questa linea viene oltrepassata, nessuna democrazia può più sentirsi al sicuro.
Per l’Europa, che si vanta di difendere il diritto e la legalità, tacere di fronte a esecuzioni extragiudiziali con vittime civili rischia di essere complicità. Se il fine giustifica ogni mezzo, non resterà che aspettare che il mezzo si rivolga anche contro di noi.
Il silenzio dei morti di Teheran, portati via da mani invisibili che avevano bussato alla loro porta con voce amica, è un monito per tutti: la vera pace non si costruisce con l’inganno. E la sicurezza vera non nasce dal sospetto, ma dal rispetto.