Oggi, sabato 31 maggio 2025, Roma è teatro di una vasta mobilitazione contro il nuovo Decreto Sicurezza. Secondo gli organizzatori, oltre 150.000 persone si sono radunate da piazza Vittorio a piazzale Ostiense per protestare contro un provvedimento che introduce 14 nuovi reati e 9 aggravanti, tra cui sanzioni per blocchi stradali e occupazioni abitative . Il decreto, approvato con voto di fiducia alla Camera, ha suscitato critiche per la sua presunta incompatibilità con i principi costituzionali e per il metodo di approvazione, considerato autoritario da opposizioni e giuristi . Le manifestazioni odierne, promosse da una vasta coalizione di sindacati, associazioni e movimenti civici, esprimono il timore che il decreto possa comprimere diritti fondamentali come la libertà di espressione e il diritto all’abitazione .
Non basta dire “sicurezza”: bisogna chiedersi per chi, e a quale prezzo. Il recente decreto legge approvato con voto di fiducia – che interviene su ordine pubblico, manifestazioni, migrazioni e disagio abitativo – chiama in causa una visione antropologica e sociale che interroga profondamente la coscienza cristiana. Non si tratta solo di uno strumento tecnico: ciò che è in gioco è il volto della società che vogliamo costruire, e dunque il posto che diamo alla persona, alla comunità e al bene comune.
La Dottrina Sociale della Chiesa ci offre criteri saldi per discernere in momenti di confusione e polarizzazione. Il principio di dignità della persona, fondamento dell’intero insegnamento sociale, è irriducibile a logiche emergenziali, securitarie o efficientistiche. Giovanni Paolo II lo ha affermato con forza nella Centesimus Annus: «L’uomo non può essere considerato semplicemente come un mezzo per l’organizzazione sociale, ma come il fine e il centro di essa» (n. 53).
Quando norme penali colpiscono il dissenso civile non violento, l’esercizio di diritti come lo sciopero o la manifestazione, la protesta dei lavoratori o dei giovani per l’ambiente, è la partecipazione democratica stessa a venire indebolita. Le sanzioni più gravi per chi “blocca” la strada col proprio corpo non colpiscono un reato violento: colpiscono una voce fragile. Come ha ricordato Papa Francesco nel messaggio per la Giornata della Pace 2021, «la partecipazione è uno dei pilastri della pace», e la nonviolenza attiva «non significa rinunciare all’azione, ma agire con altri mezzi, capaci di disarmare l’ingiustizia».
In questo senso, anche il nuovo Papa Leone XIV ha recentemente ribadito che «la pace si costruisce dalla parte delle vittime, a partire dalla realtà, nei territori e nelle comunità». Non è una formula astratta: è un appello a ripartire dalla carne ferita dell’umano, non dalla forza dello Stato. È dalla base che si rigenera la giustizia, non dai manganelli.
La tutela dell’ordine pubblico non è un valore assoluto, soprattutto se si trasforma in strumento per marginalizzare i poveri. Quando il disagio abitativo – che la stessa Corte Costituzionale ha legato alla dignità umana – viene affrontato con nuovi reati, si traduce la povertà in colpa. È la deriva dello “Stato penale”, che punisce anziché prendersi cura. Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in Veritate, lo aveva previsto: «Quando una società si orienta esclusivamente secondo logiche utilitaristiche ed efficientistiche, rischia di smarrire il senso del servizio al bene comune» (n. 36).
Ancora più preoccupanti sono i tratti discriminatori che emergono nel testo: l’obbligo di esibire il permesso di soggiorno per accedere a diritti, le aggravanti su base etnica o sociale, l’accenno ambiguo alle «madri rom». È lo scivolamento – culturale prima ancora che giuridico – verso una cittadinanza condizionata, che divide tra degni e indegni. Ma «ogni persona, in quanto creata a immagine di Dio, ha una dignità inalienabile» (Compendio della Dottrina sociale, n. 105).
La sicurezza vera – insegna la Chiesa – è la sicurezza dei diritti. Non quella dei privilegi. Non quella del decoro urbano che espelle il disagio. Non quella fondata sul controllo o sulla forza. Ma quella che nasce dalla giustizia, dalla coesione, dall’inclusione. Come ha ricordato Papa Francesco nella Fratelli tutti, «la carità politica si esprime anche nell’accogliere, proteggere, promuovere e integrare i più vulnerabili» (n. 187). E la politica vera «non guarda solo a chi grida più forte», ma ascolta chi è messo ai margini.
La sfida del nostro tempo non è punire di più, ma includere meglio. La sicurezza non può essere separata dalla solidarietà, la legalità dalla fraternità, la pace dal riconoscimento dell’altro. Ecco perché, pur nella necessaria prudenza, la Chiesa non può tacere. Lo ha detto ancora Leone XIV incontrando i movimenti popolari: «Essere presenti dentro la pasta della storia come lievito di comunione, di fraternità, di giustizia». È un programma. È il Vangelo tradotto in impegno civile. È la voce della profezia che non si piega a logiche di paura, ma annuncia un mondo più umano.