Un segno dei tempi, ma non un modello ecclesiologico
Per la prima volta nella storia, una donna siederà sulla cattedra di Canterbury. La nomina di Sarah Mullally come 106ª arcivescovo di Canterbury — annunciata da Downing Street e approvata da re Carlo III — segna una svolta simbolica per la Chiesa d’Inghilterra e per l’intera Comunione anglicana.
L’ex infermiera e già vescovo di Londra entrerà ufficialmente in carica nel marzo 2026, in un tempo non facile per le Chiese cristiane d’Occidente, chiamate a ricostruire credibilità e fiducia dopo anni di scandali, divisioni e crisi di vocazioni.
Un segnale interno, non una novità teologica
Nel contesto cattolico è bene chiarire che questa decisione, pur rispettabile, non ha nulla a che vedere con la dottrina della Chiesa cattolica sul ministero ordinato, che rimane ferma e non negoziabile: le donne non possono ricevere il sacramento dell’Ordine, come ricordato da san Giovanni Paolo II nella Ordinatio sacerdotalis (1994) e ribadito dai Papi successivi.
Il sacerdozio, nella visione cattolica, è un servizio sacramentale che partecipa in modo specifico al ministero di Cristo sposo della Chiesa; non è una funzione sociale o un diritto civile, ma una chiamata mistica inscritta nella Tradizione apostolica.
La scelta anglicana, dunque, va letta nel contesto proprio della loro comunione ecclesiale, che ha una struttura diversa, autonoma e da secoli separata da Roma. Dopo la frattura voluta da Enrico VIII nel 1534, l’anglicanesimo ha cercato di tenere insieme la tradizione cattolica e l’eredità protestante, ma le tensioni interne — teologiche, morali e disciplinari — sono oggi più evidenti che mai.
Il significato ecclesiale e le ferite da sanare
Non si può ignorare che la nomina di una donna alla guida della Chiesa d’Inghilterra avviene anche come risposta a una crisi morale e pastorale: gli scandali legati ad alcuni pastori anglicani, la perdita di credibilità di parte del clero, la fatica di ricucire un tessuto comunitario lacerato da abusi e infedeltà spirituali.
Scegliere una figura come Sarah Mullally, stimata per la sua esperienza umana e il profilo sobrio, significa anche cercare un volto di integrità e di cura materna per una chiesa ferita. È, in questo senso, un gesto che parla più al cuore del popolo anglicano che alla teologia.
Il richiamo di Roma: verità e comunione
Il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha inviato un messaggio cordiale all’arcivescovo designato, esprimendo «gli auguri mentre si prepara ad assumere questo importante servizio» e ricordando che da quasi sessant’anni cattolici e anglicani sono impegnati in un dialogo teologico ufficiale.
Koch ha sottolineato «la crescita nella reciproca comprensione» e il «calore delle relazioni pastorali» tra le due comunità, soprattutto dopo la morte di papa Francesco, quando numerosi vescovi anglicani parteciparono alle esequie.
Tuttavia, il cardinale ha anche ribadito che questa vicinanza non implica in alcun modo un’apertura della Chiesa cattolica al sacerdozio femminile, ma rappresenta una conferma della volontà di “camminare insieme” nella verità, rispettando le differenze sostanziali di dottrina e di ministero.
Tra sfida e segno dei tempi
Il futuro arcivescovo Mullally dovrà ora guidare una comunione divisa su molte questioni morali e dottrinali: benedizioni delle coppie omosessuali, bioetica, ruolo delle donne, rapporto tra Chiesa e Stato. In alcune diocesi africane e asiatiche la sua nomina non è stata accolta, e alcuni vescovi conservatori hanno già annunciato che non la riconosceranno come guida spirituale.
Eppure, al di là delle tensioni, la sua figura può ricordare a tutti i cristiani — anche ai cattolici — che la Chiesa ha bisogno di volti credibili, di una testimonianza limpida e di un servizio umile.
Non è una questione di ruoli o di poteri, ma di coerenza evangelica: ciò che sempre salva la Chiesa, in ogni tradizione, è la santità vissuta e non proclamata.
In cammino verso l’unità
Dal punto di vista ecumenico, la nomina di Sarah Mullally potrà essere occasione di dialogo rinnovato. Sebbene l’ordinazione di una donna distanzi gli anglicani dalla dottrina e dalla tradizione dei cattolici, la Chiesa cattolica, nella fermezza del proprio insegnamento, continua a riconoscere nell’anglicanesimo un interlocutore nel cammino verso la piena comunione.
Come ha ricordato lo stesso cardinale Koch, il compito comune è «camminare insieme sulla strada», pur nella consapevolezza che la verità non si inventa ma si riceve.