Non bastano libretti e devozioni: la statura del santo si misura nell’umiltà e nell’obbedienza alla Chiesa
Nel panorama dei fondatori che hanno segnato la storia della Chiesa, Sant’Alfonso Maria de Liguori (1696–1787) occupa un posto singolare e profetico. Non solo per la solidità dottrinale della sua teologia morale, o per la profondità popolare delle sue opere devozionali, ma soprattutto per la sua umiltà e la sua obbedienza. Caratteristiche che oggi, in tempi di crisi del principio di autorità ecclesiale, risultano più attuali che mai.
Un fondatore che si fece servo
Nobile napoletano, artista, giurista, convertito alla vita sacerdotale dopo una crisi profonda, Alfonso si spese per “la parte più abbandonata della Chiesa”: i poveri contadini del Regno di Napoli, dimenticati da un clero colto ma distante. Fondò nel 1732 i Redentoristi(Congregazione del Santissimo Redentore) proprio per rispondere a questa esigenza missionaria. Il suo cuore batteva per gli ultimi, gli analfabeti, gli esclusi.
Fu anche uno dei più prolifici autori spirituali della storia della Chiesa: le sue opere, tra cui le celebri Visite al Santissimo Sacramento e Le Glorie di Maria, nutrirono la devozione popolare per secoli. Oggi c’è chi si rifà a questi modelli per proporre libretti e manualetti di spiritualità. Ma imitare Alfonso nei testi non equivale a imitarlo nella vita.
Quando fu estromesso, tacque e obbedì
Negli ultimi anni della sua vita, già anziano e malato, Alfonso fu manovrato e raggirato in alcune complesse vicende giuridiche relative alla regola approvata della sua Congregazione. Senza rendersene conto, firmò documenti che ne modificavano la struttura originaria. Quando il Papa approvò la nuova forma, Alfonso si ritrovò fuori dalla congregazione che aveva fondato. Era il 1780.
Nonostante la sofferenza, non protestò pubblicamente, non cercò vendette né scismi. Non si mise a capo di una nuova fondazione alternativa, non si circondò di fedelissimi in lotta con Roma. Al contrario, si sottomise con fede e spirito di Chiesa. Scrisse: “La volontà di Dio si fa sentire anche attraverso l’incomprensione degli uomini”. Era un vescovo, un fondatore, un santo. Ma prima di tutto un figlio obbediente della Chiesa.
Una lezione per gli iniziatori di oggi
Oggi non mancano iniziatori di nuove esperienze spirituali che si dicono ispirati da santi come Alfonso. Alcuni hanno pubblicato libri di preghiere, novene, atti di consacrazione. Hanno attratto fedeli, costruito comunità, a volte anche proprietà e influenze. Ma alla prima correzione, al primo intervento della Chiesa, si sono ribellati: hanno creato fratture, alimentato sospetti contro i Pastori, trasformato il proprio carisma in bandiera identitaria e personale.
Sant’Alfonso, invece, non ha mai anteposto la propria opera alla comunione con la Chiesa. La sua vera grandezza è proprio qui. La sua statura non fu data dal successo editoriale delle sue opere, ma dal Vangelo vissuto, dalla carità concreta, dalla sobrietà di vita, dalla sapienza spesa per tutti, dall’amore verso i poveri, e soprattutto da un’obbedienza vissuta fino in fondo.
Un uomo sobrio, ricco solo di Vangelo
Alfonso avrebbe potuto vivere da principe del foro o da nobile prelato. Scelse invece la sobrietà radicale: abitazioni spartane, pasti frugali, abiti semplici. Rifiutò onori e cariche. Studiò giorno e notte per formare un clero che fosse pastore e non funzionario. Scrisse per i semplici, non per l’élite. Eppure fu anche un fine teologo, tanto da essere proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio IX.
Chi oggi si rifà a lui, dovrebbe guardare non solo alle sue preghiere, ma alla sua vita: fatta di rinunce, sacrifici, fedeltà, sofferenze silenziose, missione tra i poveri. Senza mai sentirsi vittima, né tanto meno protagonista.
La Chiesa ha bisogno di fondatori che sappiano scomparire quando è il momento. Di carismi che non si chiudano in se stessi. Di opere che vivano anche senza il loro fondatore. Sant’Alfonso Maria de Liguori è modello per ogni iniziatore ecclesiale: la sua vera grandezza è stata quella di farsi piccolo, povero, obbediente e santo.
In quest’ultimo mezzo secolo la tendenza è andata purtroppo in una direzione opposta a quella di Sant’Alfonso.