Tra sete di spiritualità e rischio di strumentalizzazione, il docu-fiction accende un dibattito reale nella comunità cattolica.
C’è qualcosa di sorprendente nel vedere sale piene per un film che parla del Sacro Cuore di Gesù. In un tempo in cui Dio sembra scomparire dal discorso pubblico, Sacré-Cœur ha riportato migliaia di persone a confrontarsi con immagini, parole e testimonianze di fede. Molti spettatori ne sono usciti commossi, con un desiderio rinnovato di preghiera, di confessione, di consapevolezza del cuore di Cristo. È un segno spirituale, e va accolto senza paura: significa che l’annuncio del Vangelo, quando è sincero, tocca ancora, consola, converte.
Allo stesso tempo, il film non è rimasto confinato all’esperienza religiosa. È diventato terreno di discussione, talvolta aspra. Alcuni cattolici — in Francia e non solo — hanno espresso preoccupazione: temono che questa devozione possa essere letta in chiave identitaria e che certe presenze e sostegni mediatici possano spostare il centro dal Cristo al contesto ideologico, trasformando un linguaggio spirituale in un segnale politico. È un tema sensibile: il Papa ha più volte messo in guardia da ogni tentazione di “nazional-cattolicesimo” e dall’uso della fede come frontiera o bandiera culturale.
Ma sarebbe riduttivo fermarsi a una contrapposizione schematica tra chi parla di Cristo e chi teme la politica. La realtà è più profonda. Da una parte c’è un popolo di fedeli che desidera una fede visibile, ardente, riconoscibile. Dall’altra, c’è la consapevolezza — maturata negli ultimi decenni — che l’annuncio cristiano deve parlare a tutti, senza creare barriere o dare l’impressione di escludere chi non vi si riconosce. Due sensibilità, entrambe ecclesiali, entrambe mosse da amore per il Vangelo, che oggi si guardano con sospetto invece che con stima reciproca.
Il vero nodo non è un film. È la domanda su quale volto della Chiesa stiamo consegnando al nostro tempo. Una Chiesa “ospedale da campo” che cura, accoglie, ascolta, o una Chiesa che custodisce radici e identità in un mondo smarrito? La risposta, lo sappiamo, non può essere alternativa. È “et… et”, non “aut… aut”. Il Sacro Cuore, nella sua icona più autentica, tiene insieme l’intensità dell’amore divino e l’apertura universale di Cristo: cuore aperto, non arma; ferita che guarisce, non simbolo di appartenenza contro qualcuno.
Forse Sacré-Cœur ci consegna proprio questo compito: non reagire per opposti, ma ritrovare insieme la sorgente. Recuperare il calore della pietà senza perdere il discernimento ecclesiale; custodire la tradizione senza trasformarla in ideologia; proporre Cristo con forza, ma sempre come via di misericordia e casa per tutti. Come ha scritto papa Francesco quando ha invitato a riscoprire questa devozione, il cuore di Gesù “batte per l’umanità intera, nessuno escluso”.
In fondo, il dibattito intorno al film potrebbe diventare occasione di purificazione spirituale. Le polemiche passano, il Cuore resta. E ci ricorda che ciò che attrae davvero — oggi come ieri — non è una identità culturale, ma la dolce e disarmante certezza di essere amati. È da qui che può ripartire un annuncio credibile, capace di parlare al cuore del nostro tempo, senza paura e senza chiusure, nella verità di Cristo e nella pazienza della Chiesa che cammina.
						
							
			
			
			
			