L’ombra lunga di Vladimir Putin continua a determinare le scelte geopolitiche della Russia, ma l’Occidente deve già prepararsi al dopo. Non per illudersi di un cambiamento repentino, ma per evitare che la guerra diventi la nuova normalità.
L’invasione dell’Ucraina nel 2022 non ha solo segnato l’inizio di una guerra devastante: ha codificato un nuovo ordine interno in Russia e ha cambiato per sempre la traiettoria delle sue relazioni con l’Occidente. Il confronto con gli Stati Uniti e l’Unione Europea non è più uno scontro occasionale o tattico: è diventato, per il Cremlino, il principio organizzatore della società russa. In questo quadro, immaginare il dopo Putin non è esercizio di fantapolitica, ma necessità strategica per l’Europa.
Putin ha cementato il suo potere intorno a tre pilastri: militarizzazione dell’economia, repressione del dissenso e dipendenza strutturale dalla Cina. Oltre il 40% del bilancio statale russo è ormai destinato a difesa e sicurezza, mentre la propaganda anti-occidentale penetra la scuola, l’intrattenimento e la cultura. L’élite economica e politica si è adattata, e in molti casi ha prosperato, facendo della guerra un’opportunità di arricchimento.
Tuttavia, nonostante l’apparente stabilità, la Russia post-2022 è un sistema rigido, vulnerabile alla stagnazione tecnologica, al declino demografico e a un isolamento strategico che nemmeno la Cina può compensare. Proprio da queste contraddizioni interne potrebbe nascere una fase nuova. Nessuno scenario realistico prevede una democratizzazione improvvisa, ma l’emergere di una leadership più pragmatica, una volta concluso il ciclo putiniano, non è da escludere.
È in questo spazio di possibilità che l’Occidente deve inserirsi con visione, evitando di reiterare il paradigma esclusivamente punitivo. Dissuadere il Cremlino oggi è indispensabile. Ma continuare a rafforzare la narrativa dell’assedio rischia di irrigidire anche eventuali successori. Servono invece due binari: deterrenza e dialogo. Da un lato, capacità militari europee autonome e investimenti nel contrasto alla guerra ibrida russa; dall’altro, riapertura di canali di comunicazione con settori dell’élite russa che, pur silenziosi oggi, potrebbero essere protagonisti domani.
In questo senso, un ripensamento occidentale sulla Russia non può aspettare il cambio al vertice del Cremlino. È ora che l’Unione Europea si doti di una strategia di lungo termine su Mosca, capace di combinare pressione economica, incentivi selettivi e visione cooperativa post-conflitto. Il futuro della sicurezza europea non si gioca solo sulla linea del fronte in Donbass, ma sulla capacità di immaginare — e di preparare — la Russia del dopo Putin.
Che editoriale 👍🏻