Le elezioni regionali in Campania, Puglia e Veneto raccontano più di tre risultati locali. Raccontano l’Italia. E, se ascoltate con onestà, dicono qualcosa anche alla coalizione di centrodestra che oggi governa il Paese e a Fratelli d’Italia, che di quella coalizione è il perno politico e simbolico.

La prima impressione è semplice: nessuna ondata, né da una parte né dall’altra. Il centro–sinistra mantiene il Sud; il centro–destra tiene solidissimo il Nord. In mezzo, un’Italia che sembra guardare più alle figure regionali che alle sigle nazionali, e soprattutto un’Italia sempre meno disposta a recarsi alle urne: un’affluenza che oscilla intorno al 43% è un fatto che dovrebbe interrogare le coscienze più delle percentuali dei vincitori.

E infatti, al di là delle celebrabili vittorie e delle rispettive prudenze dei vinti, la vera domanda è un’altra: che cosa dicono questi risultati al futuro della politica italiana?

Il Sud che resiste, il Nord che non tradisce

In Campania e Puglia il centro–sinistra ha ottenuto vittorie nette, a tratti plebiscitarie. Non è solo questione di apparati locali, radicamento o memoria politica: è la percezione che il Sud non si fidi ancora del progetto antropologico e sociale che FdI propone. È come se le regioni meridionali dicessero: “Sì, la destra governa il Paese, ma qui vogliamo altro, o almeno qualcuno che conosce la nostra storia e le nostre ferite.”

Il dato non va minimizzato. Se un partito vuole governare l’Italia del futuro deve imparare a parlare al Paese non per compartimenti, ma per visione unitaria. Il Sud non è una periferia da amministrare: è un popolo da ascoltare.

Al contrario, in Veneto, la Lega mantiene una presa quasi affettiva sul territorio. È una vittoria che non indebolisce FdI, ma la chiama a un confronto interno necessario: la leadership nazionale non può tradursi automaticamente in leadership territoriale. Nel Nord, la Lega resta un’identità più che un partito: qualcosa che si percepisce nella carne della società, nella mentalità produttiva, nel senso di appartenenza.

Che cosa significa per Fratelli d’Italia

Per FdI queste regionali sono uno specchio fedele, non deformante. Dicono due verità:

  1. La linea nazionale non basta.Il partito ha un’immagine forte, un’identità decisa, una leadership riconoscibile. Ma nei territori – soprattutto al Sud – servono volti, storie, competenze. Serve la politica, non solo la comunicazione.
  2. La coalizione è più complessa di quanto appaia.In Veneto la Lega non solo regge, ma primeggia. Nel Sud FdI non sfonda. L’idea di una destra monoblocco è una suggestione, non una realtà. Per governare davvero serve una coalizione plurale, capace di rispettare le diversità e non di appiattirle.

E qui si inserisce un tema caro alla riflessione cattolica: la politica non è conquista dei territori, ma cura delle differenze. È responsabilità verso il bene comune, non il trionfo di una parte.

Il segnale più profondo: la disaffezione

L’affluenza crollata è un monito. Non soltanto per la destra o per la sinistra, ma per tutti. L’Italia non sta smettendo di votare: sta smettendo di credere.

Non è disincanto: è stanchezza. È sfiducia strutturale. È il sospetto che la politica non sia più il luogo dove avviene qualcosa di decisivo.

Da cristiani sappiamo bene che dove crolla la speranza, si apre la strada alla rassegnazione, e dove cresce la rassegnazione, la società si fa più fragile, più manipolabile, più spaventata.

Ecco perché la prima emergenza non è elettorale: è culturale. È ridare agli italiani un motivo per partecipare, per sentirsi comunità, per tornare a pensarsi popolo.

Il futuro della coalizione

Che cosa attende, allora, il centro–destra?

Una doppia sfida: governare il presente con serietà e libertà da narrazioni muscolari; e immaginare il futuro con una proposta capace di parlare a tutte le Italie.

Il rischio è chiaro: una destra che non sa ascoltare il Sud e che subisce il Nord diventa una destra geograficamente sbilanciata e politicamente esposta. Una casa senza fondamenta simmetriche.

La possibilità, invece, è altrettanto chiara: costruire una destra che non sia solo maggioranza parlamentare, ma progetto nazionale. Una destra finalmente matura, non più prigioniera del confronto identitario, ma capace di affrontare i temi decisivi: natalità, lavoro dignitoso, coesione, scuola, povertà.

La politica come responsabilità morale

Un opinionista cattolico non può chiudere senza una nota etica. Le regionali del 2025 ci ricordano che ogni potere è fragile, che ogni vittoria è provvisoria, e che la politica, se vuole durare, deve ritrovare la sua anima: il servizio.

Non è questione di destra o sinistra.

È questione di veritàcustodia e futuro.

Chi saprà ascoltare questo Paese che cambia – silenzioso, affaticato, ma non rassegnato – avrà la possibilità non solo di vincere elezioni, ma di generare speranza. E questa, per chi guarda la storia con occhi cristiani, è sempre la sfida più grande e più urgente.