A Notre Dame, negli Stati Uniti, il momento più atteso delle partite di football non è un touchdown, ma l’apparizione sul maxischermo di padre Pete McCormick, il sacerdote che invita alla Messa tra un quarto e l’altro. Con il suo sorriso contagioso e uno stile diretto, ha trasformato un semplice annuncio liturgico in un gesto di comunione e di fede collettiva: un esempio luminoso di creatività pastorale capace di parlare ai giovani nel loro linguaggio, senza perdere nulla della profondità del Vangelo.

C’è un momento, nelle partite casalinghe dell’università di Notre Dame, in cui il rumore diventa applauso e la fede entra in campo. Non quando la squadra segna, ma quando sul grande schermo compare un volto familiare: quello sorridente e un po’ ironico di padre Pete McCormick, sacerdote e assistente spirituale del campus. In abito verde, invita tutti – studenti, tifosi, tecnici – a partecipare alla Messa dopo la partita.

E succede l’incredibile: settantamila giovani si alzano in piedi, applaudono, gridano, si commuovono. Per un prete. Per una chiamata alla Messa.

A Notre Dame – la più celebre università cattolica americana – quella di padre Pete è ormai una tradizione. Ma non una tradizione vecchia: una tradizione viva. Il suo video di novanta secondi, proiettato alla fine del terzo quarto, non è un “intervallo religioso” imposto dall’alto. È parte del rito collettivo, un gesto che unisce fede e sport, spirito e appartenenza.

Padre Pete non è un predicatore da palcoscenico. È uno che vive dentro la comunità: in bici per il campus, tra i dormitori, dietro la consolle da DJ, al fianco degli studenti nelle difficoltà. Li conosce per nome, li chiama per strada, li ascolta. Quando appare sullo schermo, non vedono un sacerdote estraneo, ma un amico. E questo, in fondo, è il segreto del suo successo: ha trasformato la pastorale universitaria in una presenza, non in un programma.

Da vent’anni a Notre Dame, McCormick ha imparato a parlare il linguaggio dei giovani senza svendere il Vangelo. La sua formula è semplice e disarmante: “Il Vangelo non cambia, ma il modo in cui lo comunichi sì”. Così, nel cuore dello stadio, mentre le luci e la musica si accendono, lui parla di Dio con la stessa spontaneità con cui un coach parla ai suoi giocatori: con entusiasmo, empatia e gratitudine.

È la creatività pastorale di cui spesso parla Papa Francesco: quella che non teme i luoghi della vita, ma li abita con rispetto e fantasia. Padre Pete non ha portato la fede “dentro lo stadio” come un’invasione di campo; l’ha fatta emergere come un respiro naturale della comunità. Non interrompe la partita, ma la completa. Non sottrae attenzione, ma la orienta verso ciò che resta quando le luci si spengono: la gioia di incontrarsi, di credere, di condividere.

In un tempo in cui la Chiesa cerca nuovi linguaggi per parlare ai giovani, Notre Dame offre così una piccola parabola di speranza: non servono effetti speciali, basta una presenza vera. La pastorale del sorriso, della prossimità, della quotidianità può fare più di mille slogan.

Padre Pete lo sa, e lo vive con la naturalezza di chi non fa marketing, ma missione. Lo chiamano “il prete che fa impazzire lo stadio”, ma in realtà fa qualcosa di più profondo: ricorda che la fede, quando è vissuta con gioia e intelligenza, può ancora accendere gli entusiasmi più giovani.

E così, tra un touchdown e una preghiera, Notre Dame insegna che la vera partita della Chiesa non si gioca contro nessuno, ma insieme – sul campo della vita.