«La folla mi si accalca intorno, ma la fede mi tocca»: con questa citazione di Sant’Agostino, Papa Leone XIV ha aperto uno squarcio teologico ed esistenziale sull’umanità del nostro tempo, nel corso dell’udienza generale del 25 giugno 2025 in Piazza San Pietro, dedicata al tema della speranza che nasce dalle guarigioni operate da Gesù. Un commento lucido e penetrante a Marco 5,21-43, dove si intrecciano due guarigioni: quella della donna emorroissa e della figlia di Giairo.

Questa pagina evangelica, nella catechesi giubilare del Pontefice, diventa una lente spirituale sul nostro presente. La donna che sanguina da dodici anni, esclusa, etichettata e costretta a nascondersi, è l’immagine di chi oggi vive ferito nella propria identità e respinto dalle logiche del giudizio. Ma è anche specchio della nostra paura di toccare il fondo della verità su noi stessi, come se il riconoscere la propria vulnerabilità significasse smettere di esistere.

Guarigione e identità: la maschera e il contatto

«A volte anche noi possiamo essere vittime del giudizio degli altri, che pretendono di metterci addosso un abito che non è il nostro», ha detto il Papa. In questa frase si condensa una delle sue costanti magisteriali: la lotta contro le maschere imposte e autoimposte, che deformano l’identità autentica e impediscono l’incontro con la grazia.

La donna emorroissa rompe il cerchio dell’esclusione non con una denuncia o un urlo, ma con un tocco di fede. È quel gesto silenzioso ma radicale, che attraversa la folla e l’apparenza e tocca il mantello della misericordia. Nella lettura di Leone XIV, la differenza tra chi “calpesta la superficie delle chiese” e chi invece “tocca con fede” è il passaggio dalla religiosità anonima alla relazione personale con Cristo.

Il riferimento a Sant’Agostino non è solo ornamentale, ma tradisce una linea di fondo del pontificato: la riscoperta della fede come contatto interiore che smaschera l’esteriorità, come urgenza di autenticità nell’epoca delle identità fluide e delle immagini costruite.



A volte anche noi possiamo essere vittime del giudizio degli altri,

che pretendono di metterci addosso un abito che non è il nostro


Leone XIV

Il mantello, la fede, la folla

Come già in altri suoi interventi, Papa Leone XIV si muove nella scia di un cristianesimo pasquale: quello che crede nella risurrezione anche là dove tutto sembra morto. Lo aveva fatto nei giorni del Natale scorso, parlando della “stalla come luogo benedetto”, lo ha fatto nel Giovedì Santo, mettendo il grembiule del servizio ai piedi della fragilità. Ora lo ripete con parole nuove: “La morte vera è quella dell’anima”. E aggiunge una provocazione che tocca in modo particolare il mondo credente: quanta gente frequenta le chiese, ma non tocca davvero Gesù?

Nel gesto della donna che tocca il mantello di Cristo, Leone XIV legge una fede che non si accontenta di un’adesione esterna: vuole toccare, entrare in contatto, lasciarsi cambiare. La fede, per lui, non è un concetto, ma un movimento del cuore che osa, che spezza l’autoisolamento e cerca la salvezza in un Altro.

È qui che l’evangelico “Talità kum” rivolto alla figlia di Giairo risuona come chiamata alla vita piena, alla rinascita spirituale, alla responsabilità educativa: “Dategli da mangiare” dice Gesù, e il Papa lo traduce: i giovani hanno fame, ma noi abbiamo qualcosa da offrire, o siamo vuoti?


A volte anche noi possiamo essere vittime del giudizio degli altri,
che pretendono di metterci addosso un abito che non è il nostro

Leone XIV

Una Chiesa che tocca e si lascia toccare

Nel magistero di Leone XIV si va delineando una Chiesa vicina, concreta, capace di relazione, che non si trincera dietro la sacralità, ma si lascia avvicinare dalla fede ferita e cercante. È la Chiesa che non giudica ma solleva, che come Gesù entra nella stanza della morte per trasformarla in luogo di risurrezione.

In un tempo segnato dal narcisismo sociale e dalla paura di mostrarsi fragili, queste parole si fanno balsamo: “Non temere, soltanto abbi fede”. Non è un’esortazione generica alla positività, ma una direzione esistenziale, come già insegnava Agostino: “Quid autem fortius spe? Quid constantissimum fide? Quid dulcius caritate?” (Enarrationes in Psalmos, 60,4).

Dismettere le maschere, toccare la speranza

L’udienza del 25 giugno si inserisce nel cuore del Giubileo 2025 e nella più ampia pedagogia spirituale di Leone XIV: non c’è speranza senza contatto con Cristo, non c’è fede senza verità su se stessi.

Le maschere – quelle che mettiamo per compiacere, per paura, per vergogna – sono la prima malattia da cui guarire. Toccare Gesù, nella fede, è anche lasciarsi toccare dalla Sua verità, che non esclude, ma integra. Perché la folla preme, ma solo chi osa la fede spezza il silenzio del cuore e riceve la vita.

Perché anche oggi, tra la folla delle parole e dei gesti religiosi, Gesù continua a domandare: “Chi mi ha toccato?” E cerca, ancora, quel tocco vero che nasce dalla fede, e che sa guarire ciò che agli occhi del mondo sembra perduto.