L’articolo di Luigino Bruni apparso su Avvenire coglie un punto nevralgico della vita religiosa contemporanea: il rischio di lasciarsi sedurre da modelli di governance e leadership mutuati dal mondo dell’impresa, senza un vaglio critico alla luce del Vangelo e del carisma. È un tema che Papa Francesco ha toccato più volte, denunciando il pericolo del “funzionalismo” — quella mentalità che riduce la missione della Chiesa a un insieme di strutture e procedure, svuotando la vita consacrata della sua dimensione profetica.

Tuttavia, la risposta alla crisi non può essere l’anarchia organizzativa o il disprezzo dell’elemento strutturale. I santi non erano “cacciatori” di potere o di titoli, ma quando si trattava di fondare o governare comunità sapevano essere concreti e ordinati, perché Dio è ordine e non caos (cfr. 1 Cor 14,33). Lo facevano nel rispetto della missione ricevuta e del bene comune dell’Ordine.

Basti pensare a santa Teresa d’Avila, donna di contemplazione e di penna, ma anche instancabile viaggiatrice, riformatrice, fondatrice di monasteri, capace di organizzare e mantenere una rete di comunità in un’epoca in cui le strade erano lunghe e pericolose. O guardiamo a san Massimiliano Maria Kolbe: la sua “Città dell’Immacolata” in Polonia non fu solo un’utopia spirituale, ma un centro apostolico all’avanguardia, capace di stampare milioni di copie di periodici interni ed esterni, sostenere missioni e formare frati. Il suo carisma — tutto francescano, tutto mariano, tutto apostolico — trovò proprio nell’organizzazione uno strumento per moltiplicare il bene.

Oggi, anche grazie a studi recenti, si riscopre che molti fondatori unirono mistica e pragmatismo: seppero evitare il dualismo tra “spirituale” e “materiale” integrandoli in un’unica visione evangelica, dove la gestione concreta diventa parte della santità quotidiana. La vita religiosa, se vuole essere feconda, deve imparare di nuovo a “calare la spiritualità nella storia”, ossia a organizzare la carità, pianificare la missione, custodire le risorse, formare le persone — tutto al servizio del Regno.

In questo senso, il pericolo non è l’ordine ma la sua caricatura funzionalista. Il problema non è il governo, ma quando il governo perde l’anima. La regola, il carisma e la missione sono i veri “leader” della comunità; chi presiede è solo il primo a seguirli. Ma questo presuppone anche che chi guida sappia farlo con intelligenza organizzativa, umiltà di servizio e radicamento spirituale, evitando tanto l’improvvisazione quanto la burocratizzazione.

Il futuro della vita consacrata non si gioca nella scelta tra “leader carismatico” o “leader aziendale”, ma nella capacità di formare uomini e donne che sappiano unire la fiamma del carisma alla lucidità dell’ordine, il primato di Dio alla competenza umana, la preghiera alla pianificazione. Perché il Regno di Dio cresce quando lo Spirito trova strumenti preparati: e spesso, come insegnano i santi, questi strumenti hanno anche un calendario, un bilancio e un piano di missione.