Tor Vergata, 3 agosto 2025. Un milione di giovani riuniti da ogni parte del mondo: silenzio, canti, confessioni, domande vere, lacrime e sorrisi. Ma soprattutto un desiderio condiviso: cercare il senso della vita. In un’epoca in cui i numeri sembrano smentire la vitalità della fede, il Giubileo dei Giovani ha ribaltato le aspettative. Nessun evento mediatico, nessuna campagna digitale avrebbe potuto costruire artificialmente ciò che in quei giorni è accaduto: un incontro reale, profondo, trasformante.
Il Papa ha parlato di erba che germoglia al mattino e secca alla sera. Ha citato il Qoelet e il Salmo 90, ma con tono paterno, non pessimista. A Tor Vergata, Leone XIV ha detto ai giovani che la fragilità non è un limite, ma parte del mistero della bellezza umana. Un campo in fiore — ha detto — vive proprio perché l’erba si consuma e si dona. Così la vita: non si accumula, si dona.
Il messaggio centrale dell’omelia del 3 agosto è stato questo: «Non siamo fatti per una vita ferma e scontata, ma per un’esistenza che si rigenera nell’amore». È una delle omelie più dense del nuovo pontificato, in cui la riflessione biblica si è fusa con una lettura profondamente antropologica e sociale del tempo presente. Con riferimenti puntuali: dall’enciclica Spes non confundit alla generazione che cerca “qualcosa di più”, passando per Agostino e il Circo Massimo dove migliaia di giovani hanno ricevuto il perdono di Dio.
Fragilità, speranza, dono
Leone XIV ha scelto di parlare della fragilità senza paura. Ha detto: «Pensiamo al simbolo dell’erba: è esile, ma bellissima. Vive perché si consuma per nutrire le nuove germinazioni». E ha aggiunto: «Così siete voi. Siete fatti per donarvi». Parole che hanno colpito i giovani in un tempo in cui la società propone il contrario: accumulare, blindarsi, vincere. Ma il Papa ha indicato un’altra logica, quella evangelica, quella della speranza che nasce dalla verità del limite e sboccia nel dono di sé.
Ha poi ribaltato le logiche del mondo: “Comprare, ammassare, consumare non basta. Abbiamo bisogno di guardare in alto, alle cose di lassù”. È un messaggio anche sociale: una società fondata sul possesso si ammala di depressione, mentre una fondata sul dono genera speranza.
L’incontro con Cristo risorto: cuore della missione
Come i discepoli di Emmaus, anche i giovani del Giubileo — ha detto il Papa — sono passati dalla delusione all’incontro. E, come i due di Emmaus, hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane: nell’Eucaristia, nella confessione, nella carità vissuta in questi giorni.
Il Papa li ha esortati a non cercare il “di meno”, ma il “di più”: “Aspirate alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno”. È un appello chiaro a una fede che non si mimetizza, ma che si incarna nella vita quotidiana, nel matrimonio come nella consacrazione, nella cultura come nel lavoro. I modelli indicati sono stati Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, volti concreti di una santità giovane, sociale, immersa nella realtà.
Un evento ecclesiale e sociale
Questo Giubileo non è stato un semplice raduno spirituale. È stato anche un evento sociale e politico (nel senso alto del termine). Ha reso visibile un popolo giovane che crede, spera, ama, piange, cerca. In un’epoca che ha spesso disegnato i giovani come disinteressati o nichilisti, Tor Vergata ha mostrato un altro volto: quello di una generazione capace di silenzio, di perdono, di preghiera. Non è retorica: chi ha visto le code per la confessione al Circo Massimo o il silenzio dell’adorazione sa che sta nascendo qualcosa.
Certo, non basta un evento. Ma il Papa l’ha detto chiaramente: “Coltivate l’amicizia con Cristo con la preghiera, la confessione, la carità. Continuate a camminare con gioia nelle vostre terre”. Ora tocca alla Chiesa locale offrire comunità vive, percorsi concreti, uno stile credibile.
Restare, ardere, seminare
Sant’Agostino, ha ricordato il Papa, ha sperimentato la sete di Dio: “Tu eri dentro di me e io fuori”. Oggi tanti giovani tornano dal Giubileo con una sete nuova, una fame di infinito. La Chiesa non può deluderli.
Ha ragione Leone XIV: “La speranza non delude”. Ma non deve essere solo promessa: deve diventare proposta. Se c’è una cosa che questo Giubileo ha reso evidente è che la fede ha ancora casa nei cuori dei giovani, purché non si presenti come moralismo o spiritualismo astratto, ma come Vangelo incarnato, condiviso, offerto con umiltà.
I giovani sono pronti. Ora tocca agli adulti della Chiesa: reimparare a seminare speranza in un campo che, dopo Tor Vergata, è già pronto per germogliare..