Il video con cui Donald Trump bombarda i manifestanti è più di una provocazione: è il sintomo di una democrazia che sta perdendo pudore.
Donald Trump ha pubblicato un video generato con intelligenza artificiale in cui, con una corona sulla testa, pilota un jet militare e bombarda i manifestanti pacifici con delle feci.
Sotto il velivolo, con la scritta “King Trump”, migliaia di persone sfilano nelle piazze americane per dire “No Kings” — nessun re, nessun potere assoluto.
Eppure il presidente degli Stati Uniti ha scelto di rispondere con una immagine di dominio, violenza e disprezzo, diffusa non da un fan account, ma dal suo profilo personale su Truth Social.
Non è satira. Non è neanche semplice provocazione.
È una forma di umiliazione pubblica, resa possibile da un’arma nuova: la manipolazione digitale.
Il potere che ridicolizza il dissenso con gli strumenti dell’intelligenza artificiale segna un salto di qualità nella retorica autoritaria del nostro tempo.
Dalla Casa Bianca, un’immagine imperiale
Il giorno dopo, l’account ufficiale della Casa Bianca su X (l’ex Twitter) — quello istituzionale, che ogni amministrazione eredita — ha rilanciato un’altra immagine: Trump e il vicepresidente J.D. Vance seduti su due troni dorati, coronati, incorniciati come sovrani.
Sotto, in un fotomontaggio, i leader democratici Hakeem Jeffries e Chuck Schumer con un sombrero messicano, accompagnati dalla frase: “We’re built different. Have a good night, everyone ”.
Una scena che avrebbe fatto sorridere, se non fosse stata pubblicata dagli account ufficiali del governo americano.
La simbologia non è casuale: Trump si rappresenta come re, e chi non gli obbedisce come caricatura etnica, nemico o bersaglio.
Il linguaggio politico, che in una democrazia dovrebbe unire, viene sostituito dal linguaggio del dominio, della ridicolizzazione, del fango.
Quando la satira diventa propaganda
Trump conosce bene la potenza delle immagini.
Durante i suoi mandati e la campagna permanente che li ha accompagnati, ha usato i social per costruire un racconto mitologico: l’uomo forte contro il sistema, il popolo contro l’élite, il patriota contro i “traditori”.
Oggi, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ha solo reso questa narrazione più sofisticata e più pericolosa.
Il video del jet che scarica liquami non è un lapsus, ma un simbolo consapevole:
è il potere che, non potendo più convincere, sceglie di umiliare.
Un gesto politico che parla a una base elettorale galvanizzata dal risentimento, e che misura la forza non sulla dignità, ma sulla capacità di offendere.
L’America dei “No Kings”, scesa in piazza con 7 milioni di persone in 2.700 città, non è solo contro Trump: è contro l’idea che la volgarità possa sostituire la verità, e che la forza sia più autorevole del rispetto.
Un Paese in cui la parodia ha sostituito la politica
L’uso sistematico del ridicolo come arma di governo segna il punto più basso del discorso pubblico americano.
Da tempo Trump non si limita a sfidare gli avversari: li deride, li scompone, li trasforma in meme.
E il problema non è solo suo, ma della società che applaude.
Quando la folla ride davanti all’osceno, il leader non è più solo un provocatore: è lo specchio di una cultura che ha smarrito il limite.
L’ironia diventa ferocia, la parodia diventa propaganda.
E così la democrazia, che vive di confronto e parola, muore di scherno e spettacolo.
L’analista: “Trump non si ferma, ma manca un anti-Trump”
Il giornalista e docente Andrew Spannaus, intervistato da Seidisera, ha osservato che il movimento “No Kings” cresce ma fatica a trovare una guida alternativa.
«Trump non frena, non cambia registro», spiega.
«I Democratici si mobilitano, ma non hanno ancora un vero anti-Trump. Il messaggio che funziona a Manhattan non è quello che funziona in Kansas».
È il paradosso di un’America polarizzata: da una parte il carisma dell’eccesso, dall’altra un’opposizione che ragiona, ma non incendia.
E nel frattempo, il dibattito pubblico si degrada a rissa permanente.
Dal populismo al culto del sé
Il video del “Re Trump” è l’ennesima tappa di una deriva che unisce populismo, marketing e idolatria del potere.
Ogni gesto, ogni post, ogni insulto è studiato per produrre consenso immediato.
Non c’è più differenza tra politica e intrattenimento, tra comando e spettacolo.
Eppure la posta in gioco è altissima: il linguaggio con cui un presidente parla del proprio popolo è già esercizio di potere.
Se la parola diventa disprezzo, la politica diventa dominio.
Un appello alla coscienza civile
Il gesto di Trump non è solo offensivo: è un segnale di erosione democratica.
Quando l’autorità istituzionale usa l’odio come ironia, prepara il terreno per una violenza reale.
Ogni volta che il linguaggio si abbassa, si abbassa anche la soglia morale della società.
Le democrazie non muoiono con i colpi di Stato, ma con la banalizzazione del male.
E quando un popolo ride di un presidente che “bombarda” i suoi cittadini, quella risata è già una ferita.
Il video del “King Trump” non è un incidente digitale, ma un manifesto politico:
un potere che si autoincorona e irride il dissenso, fino a sporcarlo simbolicamente.
Ma ogni gesto di disprezzo ha un contrappeso: sette milioni di persone sono scese in piazza per dire “No Kings”.
È il segno che, sotto il rumore, l’America libera non è morta.
Ha solo bisogno di ricordare che la dignità è la prima forma di resistenza.