Per decenni Benjamin Netanyahu ha condotto una guerra ombra contro l’Iran, un balletto strategico di attacchi e provocazioni calibrate per mettere freni all’ascesa nucleare di Teheran senza precipitare in un conflitto devastante. Ma ora è cambiato tutto. In pochi giorni, Netanyahu ha scelto la rotta della rottura: l’attacco “Rising Lion” ha colpito non più soltanto le centrali nucleari, ma le difese aeree, le basi militari e la leadership iraniana. Si tratta di una mossa senza precedenti, che sa più di sfida aperta che di difesa preventiva.
L’analisi più acuta giunge da Israele stesso: secondo il Financial Times e Bloomberg, Netanyahu ha colto un momento «unico» per attaccare – alleanze iraniane indebolite, Hezbollah in crisi, Siria spaccata – spinto da un obiettivo ambizioso. Vuole consolidare la propria eredità come il leader che ha fermato l’Iran atomico e, al tempo stesso, scongiurare un’intesa Usa‑Iran che avrebbe minato la supremazia israeliana regionale .
Il problema però è che quella supremazia viene perseguita oltre ogni limite di prudenza. L’Australian parla di un «colpo deciso» conseguito quando l’operazione sembrava possibile; ma Bloomberg avverte che senza supporto statunitense decisivo – come bombe bunker‑buster o difese logistiche avanzate – l’attacco potrebbe rivelarsi una “scommessa sbagliata” .
Ecco dunque il cuore del contendere: Israele agisce, mentre gli Stati Uniti negano coinvolgimento operativo. Trump dichiara di aver solo ricevuto avviso, mentre pure il segretario di Stato Rubio definisce le operazioni israeliane unilaterali . Non siamo di fronte ad una scissione tra alleati, ma a un gioco diplomatico: Israele dice di aver agganciato gli Usa, gli Usa dicono no. Nel mentre, i colloqui tra Washington e Teheran languono, mentre Teheran accusa: era il colpo mancato…
Sul terreno politico interno, Netanyahu ritrova l’esperienza da protagonista: dopo le critiche per il vuoto della gestione di Hamas l’ottobre scorso, ora porta il Paese in cima alla cronaca mondiale. Mazal Mualem gli prevede un’apertura in campagna elettorale: «iniziare con un colpo visibile» . Anche Nadav Shtrauchler, ex consigliere, lo definisce così: «operazione storica, pensata da 25 anni» .
Certo, si tratta di un’operazione rischiosa. Né Israele né Stati Uniti possono permettersi un’escalation incontrollata: la mossa rischia di irrigidire Teheran, galvanizzare la corsa all’atomo regionale, tirare in ballo l’America, e destabilizzare alleanze già fragili. L’articolista del Guardian condanna l’operazione come un tentativo di deviare le critiche per Gaza e come un passo verso «una guerra permanente» .
Netanyahu lavora al contenimento dell’Iran: ma questa volta non sta solo difendendo, sta iniziando una battaglia nuova, e potenzialmente distruttiva. Volendo ritagliarsi un posto nella storia, corre il rischio di ritrovarsi isolato e pagare un dazio altissimo alla stabilità regionale.
Perché alla fine il nodo non è il programma atomico di Teheran, ma il coraggio o la follia di chi pensa di giocare con la pace a colpi di operazioni militari. E questa pare davvero la prova definitiva di Netanyahu — per sé, per il popolo israeliano, e per il Medio Oriente intero.