Con la vittoria di misura del candidato sostenuto dai nazionalisti e dagli ambienti più conservatori, la Polonia entra in una fase di coabitazione difficile tra presidenza e governo. Sullo sfondo, le tensioni con Bruxelles e la frattura tra Est e Ovest d’Europa.
Con il 50,9% dei voti contro il 49,1% del suo rivale liberal-europeista Rafał Trzaskowski, Karol Nawrocki è stato eletto nuovo presidente della Repubblica di Polonia. Una vittoria di misura, ma dai significati profondi: l’affermazione di un candidato dichiaratamente sovranista, di formazione storica e privo di esperienza politica, sostenuto dal partito Diritto e Giustizia (PiS), che da anni imprime una svolta conservatrice alla società polacca.
Il nuovo capo dello Stato, che entrerà in carica a metà agosto, è stato sostenuto anche da gran parte dell’estrema destra, inclusi i simpatizzanti dei movimenti più radicali, che lo vedono come garante della “Polonia ai polacchi”, uno slogan identitario che ha fatto leva su un malcontento crescente, soprattutto in zone rurali e periferiche. Nawrocki, 42 anni, è noto per il suo passato da presidente dell’Istituto della memoria nazionale, ma anche per alcune vicende controverse: vecchie immagini lo ritraggono coinvolto in risse tra hooligans, e un’indagine è ancora aperta su un immobile acquistato da una persona disabile in circostanze sospette.
Al di là delle polemiche, la sua elezione segna una battuta d’arresto per l’azione riformista del primo ministro Donald Tusk, attuale leader di un governo centrista e filo-europeo. La Polonia, già scossa da anni di tensioni con l’Unione Europea sullo stato di diritto, rischia ora una coabitazione istituzionale conflittuale. Il presidente ha infatti potere di veto su molte decisioni del governo, e Nawrocki ha già espresso la volontà di opporsi a ogni liberalizzazione sui temi bioetici, sui diritti LGBTQ+ e sulla giustizia.
L’Europa osserva con attenzione. Francia e Germania hanno invitato Varsavia al rispetto dei valori fondativi dell’Unione, mentre molti analisti sottolineano la crescente distanza tra l’Est e l’Ovest del continente, acuita da fratture culturali e sociali su temi come l’aborto, l’eutanasia, il genere e l’immigrazione. Temi sui quali la Dottrina sociale della Chiesa invita a riflettere senza ideologie, cercando sempre la tutela della vita e la promozione della persona in ogni fase dell’esistenza.
Nawrocki, pur sostenendo l’Ucraina contro l’aggressione russa, ha raccolto consenso anche grazie a un diffuso sentimento anti-ucraino, legato alla gestione dell’accoglienza e ai costi sociali della solidarietà. Più volte ha dichiarato il suo apprezzamento per Donald Trump, e ha ricevuto il plauso dei leader sovranisti europei come Viktor Orbán e Marine Le Pen, il che fa temere un ulteriore irrigidimento nei rapporti tra Varsavia e Bruxelles.
Tuttavia, anche all’interno del Paese la società è più articolata di quanto emerga dal voto: le piazze polacche restano vivaci, soprattutto tra i giovani e nelle grandi città, dove è forte la richiesta di libertà, diritti, e impegno per la legalità. In questa tensione tra due visioni della società, la sfida non sarà solo politica, ma profondamente culturale e spirituale.
La Chiesa in Polonia, storicamente punto di riferimento per la nazione, è chiamata ancora una volta a svolgere un ruolo profetico: accompagnare senza schierarsi, offrire spazi di dialogo, ricordare che la dignità della persona e il bene comune devono rimanere al centro di ogni progetto politico. Come ha scritto Papa Francesco in Fratelli tutti, “una società è nobile e rispettabile non solo per il tipo di libertà che garantisce, ma anche per il grado di responsabilità e solidarietà che è in grado di generare”.
L’elezione di Nawrocki apre dunque una nuova stagione per la Polonia, ma chiama anche l’Europa a interrogarsi sulla tenuta della sua unità e sui valori che desidera difendere.