Le parole, in politica, sono come la luce: possono illuminare o abbagliare. Nel suo intervento al Senato del 22 ottobre, in vista del Consiglio europeo, Giorgia Meloni ha scelto la seconda via: quella del racconto ottimistico di un’Italia solida, rispettata e protagonista. Ma come spesso accade, dietro la retorica del successo si nascondono contraddizioni, mezze verità e silenzi eloquenti.

L’Italia “in serie A” e la realtà economica

«Il Fondo monetario internazionale riconosce i nostri sforzi» — ha rivendicato Meloni — citando il miglioramento dei conti pubblici e il giudizio positivo dell’agenzia di rating DBRS.

È vero: il deficit è sceso e il rating è migliorato. Ma definire l’Italia “in serie A” è un azzardo.

La nostra crescita, secondo lo stesso FMI, sarà appena dello 0,5%, una delle più basse in Europa.

Insomma, conti più ordinati, sì, ma un’economia che arranca e una produttività che resta debole.

L’immagine del “Paese ritrovato” serve più alla narrazione politica che alla fotografia reale.

Gaza, gli aiuti e la retorica della “prima fila”

Meloni ha rivendicato che nessun Paese occidentale avrebbe fatto per Gaza quanto l’Italia.

E qui, la distanza tra parole e fatti si fa evidente.

Le 2.000 tonnellate di farina e i 200 di altri aiuti rappresentano un gesto importante, ma non un primato: Germania, Spagna e Francia hanno contribuito di più, in proporzione alle proprie risorse e ai programmi dell’UE.

Quanto alle evacuazioni sanitarie, l’Italia è tra i Paesi che partecipano, ma non in posizione dominante.

E parlare di “corridoi universitari” quando i valichi restano chiusi e la fame avanza rischia di suonare come una nota stonata.

Difesa, guerra e ambizioni europee

L’adesione al programma europeo SAFE è stata presentata come un trionfo politico: quasi 15 miliardi di euro in prestiti per la difesa comune.

Meloni ha assicurato che questi fondi non toglieranno risorse alle “priorità sociali”.

Ma la verità è più complessa: i debiti di oggi diventeranno pesi sui bilanci futuri, e l’Italia sta di fatto militarizzando la propria agenda economica mentre il welfare resta fragile.

Sullo sfondo, la premier ha confermato il sostegno al piano di pace di Donald Trump per il Medio Oriente, che molti osservatori giudicano ambiguo e sbilanciato a favore di Israele. Una scelta che avvicina Roma a Washington ma la allontana da un’Europa che, pur divisa, tenta ancora di mediare.

Emissioni, ecologia e retorica del “buonsenso”

Meloni ha contestato la proposta europea di riduzione delle emissioni di CO₂, ricordando che l’UE produce solo il 6%delle emissioni mondiali.

È tecnicamente vero — ma omette un dettaglio essenziale: l’Europa resta responsabile del 16% delle emissioni storiche, quelle che ancora oggi riscaldano il pianeta.

Ridurre il dibattito ecologico a una questione di percentuali è come dire che chi ha inquinato di più nel passato non debba più pulire oggi.

Il “buonsenso” invocato dalla premier rischia di essere, in realtà, un alibi per l’inazione.

Migranti e la “vittoria” che non c’è

«I risultati stanno arrivando», ha detto Meloni parlando di sbarchi.

In realtà, i dati del Viminale mostrano che gli arrivi sono stabili rispetto al 2024, e che la politica dei blocchi navali e dei protocolli con la Libia e l’Albania ha prodotto più tensioni diplomatiche che soluzioni strutturali.

La cooperazione con l’Africa, tanto evocata, resta più un titolo che un progetto: i fondi sono pochi, i tempi lunghi e la strategia frammentata.

Dietro la propaganda, il rischio dell’autoreferenzialità

Il filo rosso del discorso di Giorgia Meloni è chiaro: l’Italia ce la fa da sola.

Ma in un contesto globale segnato da guerre, transizioni energetiche e crisi sociali, la solitudine non è forza, è isolamento.

L’Italia cresce meno della media europea, è ancora dipendente dall’energia estera, e non ha una politica migratoria condivisa con Bruxelles.

La premier si presenta come garante di stabilità, ma governa un Paese in cui la precarietà — economica, ambientale, sociale — è ormai strutturale.

Il rischio è che l’autonarrazione del “miracolo italiano” diventi un boomerang, alimentando fiducia apparente mentre la realtà scivola sotto i piedi.

La politica, per essere credibile, deve saper guardare in faccia i fatti.

E i fatti, questa volta, dicono che tra il racconto trionfale del governo e la verità dei numeri c’è ancora un abisso.

La propaganda può far vincere un applauso, ma non un futuro.