A poche ore dalla scadenza costituzionale, la legge di Bilancio per il 2026 ha ottenuto l’approvazione definitiva della Camera. Il voto è arrivato nella tarda mattinata del 30 dicembre, chiudendo un iter parlamentare che si è svolto in tempi relativamente rapidi ma con margini ridotti di confronto. Il testo era già stato licenziato dal Senato il 23 dicembre e Montecitorio si è limitata a ratificarlo senza modifiche, anche a causa della scelta del governo di porre la questione di fiducia.

Il risultato della votazione fotografa una maggioranza compatta e un’opposizione critica: 216 i voti favorevoli, 126 i contrari e 3 le astensioni. Durante il dibattito non sono mancati interventi duri, in particolare da parte del Partito Democratico. La segretaria Elly Schlein ha contestato l’impianto complessivo della manovra, accusando il governo di incoerenza e scarsa attendibilità nei numeri, richiamando anche le promesse economiche degli anni precedenti.

Una manovra da 22 miliardi

Secondo le stime ufficiali, la legge di Bilancio per il 2026 mobilita risorse per circa 22 miliardi di euro. Si tratta del saldo tra nuove spese e minori entrate, coperto attraverso una combinazione di tagli, rimodulazioni di spesa e nuove entrate fiscali. Non è dunque un “tesoretto” disponibile in cassa, ma la misura dello spazio di manovra economica che l’esecutivo si è costruito per il prossimo anno.

L’obiettivo dichiarato dal governo è duplice: da un lato sostenere i redditi medio-bassi, dall’altro mantenere i conti pubblici entro i vincoli europei, in una fase in cui tornano a pesare le regole di bilancio dell’Unione.

La novità più visibile: meno IRPEF per il ceto medio

La misura simbolo della manovra riguarda l’IRPEF. Dal 2026 la seconda aliquota, applicata ai redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro, scende di due punti percentuali, passando dal 35 al 33 per cento. È un intervento che punta a ridurre la pressione fiscale su quella fascia di contribuenti che spesso non beneficia né delle agevolazioni per i redditi più bassi né degli strumenti di pianificazione fiscale tipici dei redditi più elevati.

Il beneficio, tuttavia, non sarà universale: la riduzione non si applicherà ai redditi superiori ai 200.000 euro, che vengono esplicitamente esclusi dal vantaggio. Una scelta che il governo presenta come segnale di equità, ma che l’opposizione giudica insufficiente per contrastare le disuguaglianze.

Cosa cambia concretamente per i cittadini nel 2026

In sintesi, per il prossimo anno i cittadini possono aspettarsi:

  • Un alleggerimento fiscale per il ceto medio, con un aumento netto in busta paga per lavoratori dipendenti e autonomi rientranti nella seconda aliquota IRPEF.
  • Nessun beneficio per i redditi molto alti, che restano fuori dalla riduzione dell’aliquota.
  • Margini di spesa pubblica limitati, segno di una manovra prudente più che espansiva, orientata alla stabilità dei conti.
  • Un ruolo ridotto del Parlamento, con l’uso della fiducia che ha impedito modifiche e correttivi nel passaggio finale alla Camera.

Una manovra di continuità più che di svolta

Nel complesso, la legge di Bilancio 2026 appare come una manovra di continuità, più attenta alla tenuta finanziaria che a interventi strutturali di ampio respiro. Il taglio dell’IRPEF rappresenta un segnale politico chiaro verso il ceto medio, ma non modifica in profondità il sistema fiscale né affronta nodi storici come il costo del lavoro, la produttività o la redistribuzione.

Il giudizio finale, come spesso accade, sarà affidato agli effetti concreti: se la riduzione delle tasse riuscirà davvero a sostenere i consumi e a compensare l’erosione del potere d’acquisto, oppure se resterà una misura dal valore più simbolico che trasformativo.