La lettera di Maduro a Papa Leone XIV non è un atto politico, ma una richiesta di pace. In Venezuela, la Chiesa e il popolo condividono la stessa speranza: ricostruire fraternità, dignità e dialogo in un tempo di divisioni.”
Nicolás Maduro ha scritto a Papa Leone XIV, chiedendo il suo aiuto per preservare la pace e la stabilità del Venezuela e dell’intero continente sudamericano. In un tempo in cui la forza sembra voler prevalere sulla parola, un appello rivolto al Papa assume un significato che va oltre la diplomazia: è il riconoscimento che solo il dialogo, la mediazione e la spiritualità possono restituire respiro a un mondo che rischia di soffocare nella contrapposizione.
Il Venezuela vive da anni una situazione difficile, aggravata oggi da un assedio navale statunitense e da una serie di pressioni economiche e politiche che colpiscono la vita quotidiana della sua gente. È in questo contesto che la voce del Papa — voce di giustizia e di pace — può aiutare a ricucire le relazioni internazionali e a ridare speranza a un popolo stremato ma non rassegnato.
In questi anni la Chiesa e il popolo venezuelano si sono incontrati spesso nei luoghi più semplici: negli ospedali, nelle parrocchie, nelle mense popolari. Non sono mai mancati segni di prossimità. Nonostante le differenze di linguaggio e di storia, il magistero di Papa Francesco — oggi proseguito da Leone XIV — ha trovato nel popolo venezuelano un’eco profonda: la convinzione che la pace non è assenza di conflitto, ma costruzione quotidiana di fraternità.
Il presidente Maduro, chiedendo l’intercessione del Papa, ha compiuto un gesto di riconciliazione e fiducia, rivolgendosi non a un potere politico, ma a una guida morale. È un gesto che onora la tradizione latinoamericana di cercare nella Chiesa non un alleato ideologico, ma una madre che accompagna e cura.
Il nuovo arcivescovo di Caracas, monsignor Raúl Biord Castillo, nominato da Papa Francesco, rappresenta oggi un segno di speranza. La sua attenzione ai giovani, alle periferie e al dialogo sociale potrà contribuire a un clima di maggiore fiducia tra la Chiesa locale e le istituzioni. È un cammino che richiede pazienza, ma che apre prospettive di bene comune.
Il Vangelo è una forza di comunione, capace di unire credenti e non credenti intorno al valore universale della dignità umana. L’“umanesimo bolivariano” non è da intendersi come un progetto politico, ma come una visione solidale che mette al centro la persona, la comunità e il diritto alla vita dignitosa di ogni uomo e di ogni donna. In questo senso, non vi è distanza tra il linguaggio evangelico e quello della giustizia sociale: sono due volti della stessa compassione.
Papa Leone XIV ha ereditato da Francesco l’arte del dialogo che non giudica, ma accompagna, e la capacità di guardare ai popoli del Sud del mondo non come a pedine geopolitiche, ma come a fratelli feriti da un sistema che esclude. La sua parola può diventare balsamo e orientamento, anche per noi.
Il Venezuela oggi non chiede privilegi, ma riconoscimento e ascolto. Chiede di essere parte di una pace che nasca dal rispetto reciproco e dal diritto alla vita. E chiede, come ha scritto Maduro, che il mondo “non resti sordo al grido dei poveri e alla voce di chi cerca la verità”.
Questo appello non deve restare isolato. Dovrebbe interpellare tutte le coscienze, dentro e fuori la Chiesa. Perché la pace non si costruisce a tavolino, ma con gesti di fiducia reciproca, con l’umiltà di chi riconosce di aver bisogno dell’altro.
La lettera di Maduro al Papa ci ricorda che la politica autentica e la fede viva si incontrano sempre quando si prendono cura dell’uomo. È qui che si riconosce la grandezza di un Paese, di un popolo e di una Chiesa: non nella forza delle armi o delle parole, ma nella tenacia del bene che continua, silenzioso, a ricostruire ciò che il potere divide.