Tra la stanchezza francese e la lunga mano russa nell’Oceano Indiano
La notizia è passata quasi inosservata in Europa: il Madagascar è in rivolta, il presidente Andry Rajoelina è fuggito all’estero su un aereo francese, l’esercito si è schierato con i giovani manifestanti.
Un evento che, al di là delle cronache africane, segna forse la fine di un’epoca: quella della FranceAfrique, la rete di influenze e protettorati informali che per decenni ha garantito a Parigi un dominio politico e culturale nel continente.
Il Madagascar non è un Paese qualunque. È un’isola strategica, posta tra Africa e Asia, al crocevia delle rotte commerciali dell’Oceano Indiano.
La sua perdita d’influenza rappresenta per la Francia un colpo simbolico e geopolitico più grave di quanto appaia. Dopo Mali, Niger e Burkina Faso, anche qui l’onda lunga del disincanto postcoloniale sembra aver travolto la pretesa di “amicizia speciale” tra Parigi e le sue ex colonie.
Ma chi riempirà il vuoto lasciato dalla Francia?
Tutti gli indizi portano a Mosca.
Da anni la Russia investe nel Paese, nelle miniere di grafite e di oro, nella formazione militare e nelle borse di studio per i giovani. È la strategia tipica del Cremlino: penetrare dove l’Occidente si ritira, offrendo cooperazione tecnica e rispetto formale della sovranità.
Dietro la retorica del “partenariato”, l’obiettivo è chiaro: assicurarsi un avamposto nell’Oceano Indiano, una base logistica e commerciale capace di controbilanciare la presenza francese e statunitense.
Sul piano interno, la rivolta malgascia nasce da problemi elementari – mancanza di acqua, di elettricità, di lavoro – ma riflette una rabbia più profonda: quella di un popolo che non vuole più essere spettatore della propria storia.
I giovani, con l’appoggio inatteso dei militari, hanno trasformato il disagio in politica, la frustrazione in progetto.
Per l’Europa, questa è una lezione amara.
L’Africa non è più un cortile di casa, e il linguaggio dell’assistenza ha perso credibilità.
Il Madagascar oggi ci ricorda che la decolonizzazione non è un capitolo di storia, ma una ferita ancora aperta, su cui nuove potenze — Russia, Cina, India — stanno scrivendo la loro narrazione.
E la Francia, prigioniera della nostalgia imperiale, rischia di scoprire troppo tardi che, nel silenzio delle sue ex colonie, sta perdendo non solo influenza, ma memoria.