Emmanuel Macron richiama a Matignon Sébastien Lecornu, appena dimissionario, per un inedito “bis” che divide la Francia e segna l’ennesimo braccio di ferro tra l’Eliseo e i partiti. Il presidente punta sulla fedeltà e sulla disciplina per salvare un equilibrio politico che ormai vive di compromessi e di stanchezza.
A Parigi, il tempo politico sembra essersi fermato e ripartito nello stesso istante. Quattro giorni dopo aver rimesso il suo mandato nelle mani del presidente, Sébastien Lecornu riceve nuovamente da Emmanuel Macron le chiavi di Matignon. È una scena che sa di déjà-vu e di accanimento politico, ma anche di un disperato tentativo di tenere insieme un Paese che rischia la paralisi. Macron, sempre più isolato nel suo stesso perimetro di potere, ha scelto di affidarsi ancora una volta a quell’uomo che, nel silenzio delle ultime ore, è riuscito almeno a far dialogare le opposizioni, cercando una via — seppur stretta — verso il compromesso.
Il ritorno di Lecornu non è un semplice rimpasto. È il segno che il presidente non ha trovato alternative credibili né alleanze solide. Le consultazioni con i partiti si sono trasformate in un braccio di ferro permanente, tra leader che pretendono visibilità e forze parlamentari che si misurano più sulla capacità di bloccare che di costruire. Macron ha scelto di rilanciare Lecornu come simbolo di continuità e di pragmatismo, confidando che l’opinione pubblica, stanca del caos, possa premiare almeno la stabilità apparente. Ma il rischio di essere percepito come un presidente che governa contro il Parlamento, più che con esso, è concreto.
Lecornu, soprannominato il “moine soldat”, ha il profilo del funzionario disciplinato e silenzioso. È colui che ha saputo, nei giorni di crisi, negoziare con quasi tutti, eccetto le frange più estreme del Rassemblement National e della France Insoumise. Conosce i limiti e le diffidenze di ciascun gruppo, e sa che la sua unica carta vincente sarà la sobrietà. Niente ministri “presidenziabili”, niente rivalità interne, niente simboli divisivi. Il suo obiettivo è semplice e quasi monastico: far passare il bilancio 2026 senza che il governo cada sotto una nuova mozione di censura. Un compito apparentemente tecnico, ma che nasconde un enorme significato politico: evitare che la Francia precipiti in una crisi istituzionale permanente.
Tuttavia, dietro la scelta di Macron si legge anche la difficoltà di un presidente ormai prigioniero del proprio sistema. Reinvestire un premier dimissionario, dopo settimane di tensioni e trattative, è un gesto che può apparire tanto audace quanto disperato. Lecornu rappresenta la fedeltà, ma non il rinnovamento. Il suo ritorno testimonia che l’Eliseo non è riuscito a creare un fronte centrista stabile, né a coinvolgere personalità della società civile o tecnocrati super partes. Tutto resta confinato all’interno di un cerchio di fiducia ristretto, mentre la Francia reale osserva con crescente disincanto.
Nell’Eliseo si spera che la coerenza del “soldato” Lecornu, la sua capacità di tessere relazioni e la sua postura austera possano rassicurare i mercati e placare l’ansia dei cittadini. Ma la scommessa è fragile. Il malcontento politico e sociale è profondo, e la sensazione diffusa è che le scelte si compiano in un vuoto di consenso. Macron ha scommesso ancora una volta su sé stesso, più che sul Paese, affidandosi alla competenza di un primo ministro che incarna la stabilità, ma non necessariamente la fiducia.
Il “moine soldat” torna dunque a Matignon con una missione quasi spirituale: convincere una Francia stanca che la moderazione non è immobilismo e che il compromesso non è resa. In un clima di diffidenza e di stallo, la sua fede nell’arte del governo e la disciplina del soldato saranno messe alla prova come non mai. Perché, più che un bis, quello di Lecornu è un esame di sopravvivenza per tutta la Quinta Repubblica.
E in filigrana, si intravede una fragilità che riguarda buona parte dell’Europa occidentale: la difficoltà dei sistemi presidenziali e parlamentari di trovare equilibrio tra rappresentanza e decisione. Se l’Italia vive oggi un raro momento di stabilità politica con il governo Meloni, altri Paesi come la Francia o la Spagna mostrano invece la fatica di coniugare consenso popolare e governabilità. Lecornu torna a Matignon come simbolo di continuità, ma la vera sfida è comune a tutto il continente: ricostruire un rapporto di fiducia tra i cittadini e chi li governa.
Forse è giunto il tempo di riscoprire che il bene comune non nasce dalla forza delle maggioranze, ma dalla fedeltà alla verità e al servizio. Perché la crisi delle istituzioni, prima che di numeri, è sempre una crisi di anima.