Il populismo diventa spesso l’unica certezza
L’Argentina ha scelto ancora Javier Milei. Contro ogni previsione, il presidente libertario ha ottenuto un trionfo inatteso nelle elezioni di medio termine, superando il 40% dei voti e consolidando la sua presenza in Parlamento. Una vittoria che, a dispetto della crisi economica, dell’inflazione fuori controllo e dei tagli draconiani, rivela qualcosa di più profondo del semplice consenso politico: la trasformazione del malcontento in fede populista.
Mai come questa volta, il voto di metà mandato ha avuto il sapore di un referendum personale. Milei non è più soltanto un presidente: è un simbolo, una bandiera di ribellione contro tutto ciò che rappresenta l’“apparato”. I peronisti di Fuerza Patria, fermi sotto il 25%, non sono stati sconfitti solo nei numeri ma nell’immaginario collettivo. L’Argentina, dopo decenni di governi instabili, scandali e inflazione cronica, non crede più in nessuno — e proprio per questo continua a credere in Milei.
Il voto come atto di sfiducia generale
Il populismo, in fondo, nasce e prospera dove la fiducia muore.
Quando i partiti tradizionali perdono la loro funzione di mediazione, la politica smette di essere negoziazione e diventa spettacolo. Milei lo ha capito meglio di chiunque altro: con la sua motosega e il suo linguaggio anti-sistema ha saputo dare voce a una nazione stanca, che non spera più nel cambiamento ma si consola nell’illusione della rottura.
Il suo successo non è tanto il segno di una convinzione, quanto di una rassegnazione collettiva: “meglio un pazzo che ci rappresenta, che un politico che ci inganna”.
È lo stesso meccanismo che l’Italia ha conosciuto con Silvio Berlusconi: un uomo solo al comando, capace di incarnare – anche attraverso i propri eccessi – la promessa di un riscatto personale e nazionale.
E oggi, con Giorgia Meloni, si ripete qualcosa di analogo: una leadership populista che si regge non tanto sul consenso entusiasta, quanto sull’assenza di alternative credibili. Quando non c’è un progetto politico forte a sinistra o al centro, il popolo preferisce affidarsi al “meno peggio”, a chi almeno sembra avere un’idea.
La solitudine del potere carismatico
Il voto argentino non è quindi un atto di fiducia nel progetto ultraliberista di Milei – che resta privo di risultati tangibili – ma un voto di solitudine. È il grido di una società che ha perso la bussola e cerca rifugio in chi promette una verità semplice, anche se devastante.
Il populismo, come ha mostrato la storia recente, si nutre non della speranza ma della paura: la paura di tornare al passato, di ritrovarsi in mano ai “soliti noti”, di non contare nulla.
Trump lo ha intuito subito, esultando su Truth Social e legando il successo di Milei agli interessi americani. Ma dietro l’abbraccio di Washington e i 40 miliardi di dollari promessi tra swap e credito, c’è anche un calcolo geopolitico: meglio un populista fedele che un’Argentina instabile.
L’assenza dell’alternativa come condanna
Il populismo non vince mai da solo: vince per mancanza di rivali.
L’opposizione peronista, prigioniera del proprio passato e incapace di rinnovarsi, ha regalato a Milei il monopolio dell’immaginario politico. Non c’è un discorso alternativo sul futuro, né un progetto economico coerente.
E così l’Argentina ha scelto ancora una volta la frusta invece del dubbio, la promessa di disciplina invece della fatica del pensiero.
Il paradosso del populismo
C’è un paradosso in tutto questo: più Milei taglia, più la gente si stringe attorno a lui.
La sua austerità diventa una forma di penitenza collettiva, quasi religiosa. Il populista, come ogni leader carismatico, sopravvive anche ai propri fallimenti perché trasforma la sconfitta in prova di fede.
Quando la politica non offre più soluzioni, resta solo la liturgia del sacrificio: “soffriamo, ma almeno è lui a farci soffrire, non loro”.
In fondo, l’Argentina non ha scelto Milei perché lo ama, ma perché non sa più chi amare.
È l’assenza di alternative a rendere il populismo così potente – in Argentina, come in Italia.
Finché la democrazia non saprà restituire fiducia, giustizia e visione, i popoli continueranno a scegliere chi urla più forte, non chi pensa più in profondità.
