Che cosa succede quando un’università diventa un bersaglio politico? E cosa ci dice, da cristiani, il duro scontro tra Donald Trump e l’Università di Harvard? Più che una semplice querelle istituzionale, quello in corso da mesi tra l’ex presidente e l’ateneo più prestigioso d’America è un vero e proprio scontro di visioni sul futuro della democrazia, della libertà accademica e, in fondo, della verità.

Harvard, fondata nel 1636, è diventata per Trump il simbolo di un’élite da abbattere, accusata di essere ostile al “vero popolo americano”. L’ex presidente ha tagliato fondi, minacciato il regime fiscale agevolato dell’università, cercato di impedire l’ingresso di studenti stranieri e preteso una sorta di “verifica ideologica” sui professori. Il pretesto? Le proteste pro-palestinesi sul campus, accusate di antisemitismo, e una presunta mancanza di pluralismo nei punti di vista. Ma l’impressione è che si stia usando l’argomento della “diversità di pensiero” per imporre un controllo politico sul sapere.

Un sapere sotto attacco

In realtà, Harvard è un microcosmo complesso e non immune da critiche. Il sistema delle legacy admissions, ad esempio, favorisce chi ha legami familiari con ex alunni, perpetuando diseguaglianze. Ma se una riforma è legittima, essa deve venire da un confronto interno, non da un’imposizione autoritaria. Che lo scontro sia ideologico lo dimostra il fatto che meno del 3% dei docenti si dichiari conservatore: non perché siano discriminati, ma perché negli ambienti accademici il sapere critico ha spesso avuto maggiori sintonie con il pensiero progressista. Questo, però, non giustifica l’assenza di un dibattito plurale – lo riconoscono anche alcuni studenti conservatori come Richard Rodgers, cattolico ed ex militare – ma neppure legittima il controllo statale sulle coscienze.

Una tentazione sempre attuale

La Bibbia ci ricorda che la verità non ama il potere assoluto. La tentazione di Babilonia è sempre in agguato: fare dell’ideologia uno strumento di dominio, piegare la complessità del reale a un’unica narrazione, ridurre il pluralismo a una minaccia. Harvard, in questo senso, è diventata il capro espiatorio di una crociata culturale. Trump non attacca solo un’istituzione, ma l’idea stessa che l’università possa essere un luogo libero, aperto, anche scomodo. Un luogo dove si forma una coscienza critica.

Il messaggio evangelico – e qui la riflessione cristiana può e deve intervenire – ci insegna che la verità va cercata, amata, custodita. Mai imposta. E che la libertà di pensiero è un bene prezioso, proprio perché fragile. Non a caso, Gesù fu condannato perché disturbava il potere religioso e civile, perché la sua parola non poteva essere controllata né manipolata.

La solidarietà come resistenza

Di fronte agli attacchi, la comunità universitaria ha risposto con una resistenza morale. Insegnanti come Ryan Enos hanno deciso di devolvere parte del proprio stipendio per aiutare gli studenti stranieri colpiti dalle restrizioni. Gruppi come Students for Freedom e Crimson Courage – formati da studenti e alumni – hanno organizzato proteste, raccolto firme, e fatto sentire la propria voce in difesa della libertà accademica e dell’inclusività. Persino ex studenti che non avevano mai sostenuto economicamente l’università hanno cominciato a farlo, in un gesto di riconoscenza per ciò che Harvard rappresenta: un luogo in cui si coltiva il futuro.

Un laboratorio per la democrazia

La posta in gioco, in fondo, non è solo la sopravvivenza di Harvard, ma la tenuta della democrazia americana. Se si può zittire una delle istituzioni più potenti del Paese, allora ogni spazio libero è a rischio. Ecco perché la difesa della libertà accademica non è una battaglia di élite, ma una responsabilità collettiva. Lo ha capito anche chi, come Glenn Moramarco – vicepresidente di un’associazione di studenti di “prima generazione” – ha detto con lucidità: «È una follia voler mettere in discussione tutto questo. Tutti ne pagheranno le conseguenze».

La fede che interroga il potere

Come cristiani, non possiamo restare indifferenti. La fede non è una zona neutra. Sta sempre dalla parte della libertà, della ricerca della verità, della giustizia sociale. E quando il potere pretende di decidere cosa si possa o non si possa insegnare, quali idee siano accettabili, e chi possa avere accesso al sapere, la coscienza evangelica è chiamata a reagire.

Harvard, con le sue contraddizioni, resta oggi un simbolo di questa sfida. Difenderla non significa idealizzarla, ma proteggere quello spazio fragile dove la parola può ancora essere libera, la scienza può ancora servire la vita, e l’uomo può ancora imparare a pensare senza paura. In questo senso, non è solo un’università sotto attacco: è un’icona vivente del diritto a non piegarsi. E, forse, anche un monito per tutte le nostre scuole, accademie e seminari: il sapere cristiano non serve il potere. Lo interroga.