Nel nome del nuovo Papa l’eco di una Chiesa che non ha mai smesso di mettersi dalla parte del lavoro umano.

Il 15 maggio di 134 anni fa, Papa Leone XIII pubblicava la Rerum Novarum, atto di nascita della dottrina sociale della Chiesa. Oggi, in questa stessa data carica di memoria, il nome scelto da Papa Leone XIV — al secolo Robert Francis Prevost — risuona come un’eredità raccolta e rilanciata: non solo un omaggio al passato, ma una dichiarazione programmatica per il futuro.

Il 15 maggio 1891 — centotrentaquattro anni fa esatti — Papa Leone XIII firmava una delle encicliche più importanti della storia moderna della Chiesa: la Rerum Novarum (cose nuove), il primo grande documento del magistero sociale cattolico. Non fu solo una denuncia delle condizioni disumane in cui versavano i lavoratori alla fine dell’Ottocento; fu soprattutto l’annuncio di una Chiesa che decideva di non essere più neutrale di fronte alle ingiustizie del sistema industriale nascente, proponendo un’alternativa evangelica, fondata sulla dignità dell’uomo, sulla giustizia e sul bene comune.

Non è un caso che Papa Robert Francis Prevost, religioso agostiniano e vescovo statunitense con lunga esperienza missionaria in Perù, abbia voluto legare il suo pontificato proprio a quel nome: Leone XIV. Una scelta che si carica, fin dall’inizio, di significato storico e pastorale. Il nuovo Papa sembra voler dire che la questione sociale non è chiusa, ma semmai aperta in forme nuove: che c’è bisogno oggi, come allora, di una Chiesa che parli ai lavoratori, ai poveri, agli esclusi — e non solo nelle cattedrali, ma nei mercati, nei porti, nei villaggi, nei call center, nei campi migranti e nei centri per rifugiati climatici.

Un’enciclica che fece epoca

La Rerum Novarum nasceva in un mondo attraversato da contraddizioni fortissime. Da una parte, la rivoluzione industriale stava generando immense ricchezze per pochi; dall’altra, masse di operai e contadini erano sfruttati, senza tutele, senza rappresentanza, spesso senza nemmeno la possibilità di istruirsi o curarsi. La risposta della Chiesa non fu una presa di posizione ideologica, ma una sintesi coraggiosa tra la luce del Vangelo e le nuove “cose” del tempo (rerum novarum, appunto).

Leone XIII affermava con forza che il lavoro umano non può essere trattato come una merce, che il capitale ha bisogno del lavoro e viceversa, e che lo Stato ha il dovere di intervenire per correggere le ingiustizie e proteggere i deboli. Il diritto alla proprietà privata veniva riconosciuto, ma subordinato alla destinazione universale dei beni. Era l’inizio della dottrina sociale della Chiesa: non un’ideologia, ma un pensiero critico e dinamico, in ascolto della realtà e radicato nella fede.

Il nuovo Leone e i “lavori del nostro tempo”

Quando, l’8 maggio 2025, il nuovo Papa si è affacciato dalla loggia di San Pietro, ha scelto un nome che mancava da oltre un secolo. “Leone” è il nome di una forza mite, di un’autorità che non urla ma sa farsi ascoltare, di un magistero che ha inciso la storia. È il nome di chi ha saputo parlare al mondo senza perdere il Vangelo.

Ma Leone XIV non è solo il continuatore di un nome: è un uomo che ha vissuto il lavoro umano nella sua forma più dura e più dignitosa, nei villaggi andini, accanto ai contadini indigeni del Perù, negli anni oscuri della violenza terroristica. Per lui, la povertà non è una teoria. È esperienza vissuta. È Vangelo incarnato.

Nelle sue prime parole da Papa, ha parlato della necessità di una pace “disarmata e disarmante”, cominciando dal linguaggio e dalle relazioni quotidiane. Ma ha anche lasciato intendere che nel cuore del suo pontificato ci sarà una grande attenzione per la giustizia sociale, per le “periferie umane e ambientali”, come le chiamava Francesco, e per il ruolo del lavoro come fondamento della dignità umana.

Una nuova stagione della dottrina sociale?

Molti osservatori si chiedono se con Leone XIV si aprirà una nuova fase del magistero sociale della Chiesa. Dopo la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, la Populorum Progressio di Paolo VI, la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II e la Laudato si’ di Francesco, siamo forse all’alba di una nuova Rerum Novarum per il XXI secolo?

Il titolo della possibile prima enciclica che circola negli ambienti vaticani — Verbum Pacis — sembra aprire il campo: la parola come luogo di pace, il linguaggio come strumento di giustizia, la comunicazione come vocazione morale. Ma è lecito immaginare che il Papa non si fermerà lì. Il lavoro povero, l’intelligenza artificiale, la solitudine dei giovani, le guerre dimenticate, il caos climatico, la finanza predatoria: sono tutte nuove “cose” (res novae) che interpellano la Chiesa oggi, proprio come la fabbrica e la questione operaia interpellarono Leone XIII.

Il nome è il programma

Nel nome Leone XIV c’è un passato da onorare, ma soprattutto un futuro da costruire. La Chiesa ha ancora una voce nel mondo del lavoro? Ha ancora qualcosa da dire al sindacato, all’imprenditore, al precario, al disoccupato, all’infermiera di notte, al bracciante sfruttato, al giovane che sogna un impiego dignitoso?

Papa Prevost, con la sobrietà del missionario e la profondità dell’agostiniano, sembra voler rispondere di sì. Con un nome antico per un’urgenza nuova: ridare dignità al lavoro, senso alla fatica, speranza alle mani dell’uomo.