Il Papa: “La missione oggi è accogliere”. Migranti come icona della fede che attraversa i deserti e i mari.
Nel cuore del Giubileo 2025, la voce di Leone XIV ha assunto toni profetici e concreti. Nell’omelia per il Giubileo del mondo missionario e dei migranti, il Pontefice ha unito due frontiere che raramente vengono contemplate insieme: l’evangelizzazione e le migrazioni. Il filo conduttore è quello della fede che cammina, che attraversa il male e la fatica, che non fugge il mondo ma lo abita come luogo di salvezza.
Una fede che si muove con i piedi dei migranti
Il Papa ha preso le mosse dal profeta Abacuc, che grida a Dio di fronte all’ingiustizia, per dire che anche oggi «il giusto vivrà per la sua fede».
Una fede che non si consuma nei templi ma si misura nelle strade del mondo, dove camminano i poveri e i migranti.
«Quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro – ha detto Leone XIV – non possono trovare la freddezza dell’indifferenza».
È un linguaggio che richiama direttamente la spiritualità francescana del nuovo Pontefice: la compassione come atto missionario, la misericordia come confine della Chiesa.
Leone XIV non riduce la migrazione a un problema politico o economico: la eleva a luogo teologico, dove Dio si fa pellegrino con i suoi figli.
Il mare, i deserti, i centri di accoglienza, diventano «spazi biblici», luoghi della prova e della promessa, in cui l’uomo incontra il volto di Dio nella solidarietà concreta.
Dalla missione che parte alla missione che resta
Nel passaggio più forte dell’omelia, il Papa ha riletto la parola “missione” in chiave attuale:
«Non si tratta tanto di partire, quanto invece di restare per annunciare Cristo attraverso l’accoglienza, la compassione e la solidarietà».
È una definizione che capovolge secoli di prassi missionaria “ad gentes”, senza negarla ma trasformandola in “missione ad cor”, una missione del cuore che non misura la distanza geografica ma quella spirituale.
Leone XIV parla alla Chiesa del Nord globale, ma anche a quella del Sud: ai missionari che partono e ai migranti che arrivano.
Gli uni e gli altri sono testimoni di un Vangelo in movimento, che non conosce frontiere.
Leone XIV indica che oggi la missione non è più solo “andare” ma anche accogliere chi viene — i nuovi poveri, i popoli in fuga, i cristiani perseguitati.
In questa prospettiva, il fenomeno migratorio diventa una chiamata universale alla conversione ecclesiale.
La Chiesa che accoglie il migrante non fa filantropia, ma celebra la fede stessa: accogliere è evangelizzare, aprire è predicare, servire è annunciare.
Una nuova primavera missionaria
Il Papa ha rilanciato con forza due parole chiave: cooperazione missionaria e vocazione missionaria.
La prima chiama in causa la reciprocità tra le Chiese: quelle d’Europa e d’America che ricevono nuovi fedeli dalle terre del Sud; quelle d’Africa e d’Asia che inviano oggi missionari ai Paesi un tempo evangelizzatori.
La seconda chiama in causa i giovani, invitandoli a ritrovare nel servizio ai più poveri il senso vocazionale della vita cristiana.
Leone XIV sembra voler dire che la missione è tornata al centro del Vangelo, e il Vangelo al centro della missione.
Non più un compito “delegato” a pochi specialisti, ma un modo di essere della Chiesa intera, un “stato permanente di missione”, come già indicava Papa Francesco.
Nel tempo dell’individualismo e delle nuove solitudini globali, il Papa invita a riscoprire la fede come atto di fiducia nel futuro, come forza mite che cresce nel silenzio, come il granello di senape del Vangelo.
Una fede che non sposta solo i monti, ma sposta i cuori — da chiusure di paura a spazi di incontro, da sospetti culturali a comunione di destino.
La misericordia come missione del nostro tempo
In questa omelia, Leone XIV ha pronunciato parole che resteranno come pietra angolare del suo pontificato:
«Rimanere per guardare in faccia coloro che arrivano da terre lontane, restare per aprire loro le braccia e il cuore».
È il linguaggio del Buon Samaritano globale.
Il Papa unisce i migranti e i missionari sotto la stessa parabola della misericordia, restituendo dignità a entrambi: i primi come icona di Cristo che bussa, i secondi come segno di Cristo che accoglie.
Se per Leone XIII la Rerum novarum fu la carta sociale della Chiesa industriale, per Leone XIV questa omelia segna la carta spirituale della Chiesa globale:
una Chiesa che non teme le differenze, che fa della mobilità umana una parabola di salvezza e della missione un servizio d’amore.
Il messaggio di Leone XIV risuona come un appello a tutta la cristianità:
in un mondo che costruisce muri, la fede costruisce ponti;
in una società che teme il diverso, la missione cristiana diventa accoglienza.
Nell’abbraccio tra migranti e missionari, la Chiesa ritrova il suo cuore:
non solo universale, ma umano.