La protesta dell’ambasciata di Israele presso la Santa Sede contro le parole del cardinale Pietro Parolin non ha lasciato indifferente Papa Leone XIV, che da Castel Gandolfo ha preso posizione netta: “Il cardinale ha espresso molto bene l’opinione della Santa Sede”. Una difesa piena, accompagnata da un richiamo profondo alla coscienza dell’umanità: due anni di guerra a Gaza, decine di migliaia di morti, e la necessità di un ritorno al dialogo. Intanto il Vaticano annuncia due viaggi di pace: in Turchia, per il 1700º anniversario del Concilio di Nicea, e in Libano, cuore ferito del Medio Oriente.

La protesta israeliana e la difesa del Papa

La nota diffusa dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede è arrivata come un fulmine: accusa l’intervista del cardinale Parolin a L’Osservatore Romano di “rischiare di minare gli sforzi per porre fine alla guerra” e di aver adottato “un’equivalenza morale laddove non è pertinente”. Nel mirino, l’uso del termine massacro riferito tanto all’attacco di Hamas del 7 ottobre quanto alla risposta israeliana a Gaza. Israele ha ricordato che “non esiste equivalenza morale tra uno Stato democratico che difende i propri cittadini e un’organizzazione terroristica che vuole distruggerli”.

A stretto giro, Papa Leone XIV — interpellato dai giornalisti al termine di un incontro alla Villa Barberini di Castel Gandolfo — ha scelto di non alimentare polemiche, ma le sue parole sono state inequivocabili: “Il cardinale ha espresso molto bene l’opinione della Santa Sede”. Con questa frase, breve ma densa di significato, il Pontefice ha voluto ribadire la piena sintonia con il suo Segretario di Stato, confermando la linea diplomatica vaticana improntata alla ricerca di equilibrio, verità e pace, anche nei momenti di maggiore tensione internazionale.

La visione di Leone XIV: il dolore e la memoria

Rispondendo ai giornalisti, Leone XIV ha ripercorso il dramma degli ultimi due anni: “Due anni fa con questo atto terroristico più di 1.200 persone sono morte… e poi 67mila palestinesi uccisi”. Numeri che il Papa non usa come arma, ma come monito. La sua riflessione non si ferma alla cronaca: “Bisogna pensare a quanto odio esiste nel mondo e cominciare con noi stessi a chiederci perché esiste e cosa possiamo fare”.

È un linguaggio che ricorda quello di Giovanni Paolo II dopo l’11 settembre: nessuna giustificazione al terrorismo, ma nemmeno un silenzio sulle sofferenze inflitte ai civili. Leone XIV si muove sulla stessa linea: riconoscere il male, ma non smettere di credere nel bene possibile. “Bisogna ridurre l’odio — ha detto — e tornare alla capacità di dialogare. È certo che non possiamo accettare gruppi che causano terrorismo, ma allo stesso tempo dobbiamo preoccuparci per ogni atto di antisemitismo, perché è sempre un tradimento della dignità umana”.

La diplomazia vaticana: equilibrio e profezia

La reazione dell’ambasciata israeliana dimostra quanto sia difficile, per la Santa Sede, mantenere la bussola morale nel caos del Medio Oriente. Ma la Chiesa non è una cancelleria diplomatica: è una coscienza che parla ai popoli, non agli eserciti. Quando Parolin ha parlato di “carneficina a Gaza” non ha voluto offendere Israele, bensì ricordare che ogni vita, israeliana o palestinese, ha lo stesso valore davanti a Dio.

Leone XIV ha confermato questa prospettiva: non una condanna politica, ma una chiamata etica. Le sue parole, “bisogna tornare alla capacità di dialogare”, non sono una formula di circostanza: indicano la via della riconciliazione concreta, quella che si costruisce non nei palazzi, ma nelle relazioni umane, nella verità e nel perdono.

I viaggi della pace: Turchia e Libano

Proprio in questo spirito si inserisce l’annuncio del prossimo viaggio apostolico del Papa in Turchia e in Libano. “La Turchia per il 1.700º anniversario del Concilio di Nicea — ha spiegato Leone XIV — è un momento veramente importante. Non per guardare indietro, ma per guardare avanti”.

Il riferimento al primo grande concilio ecumenico non è casuale: Nicea fu il luogo in cui la Chiesa riaffermò la sua fede nell’unità di Dio e del suo Figlio. Oggi, in un Medio Oriente segnato da divisioni e sospetti, quel messaggio di unità torna a risuonare come una profezia.

Poi il Libano, “un Paese che ha sofferto tanto”, come ha ricordato il Pontefice. Lì Leone XIV vuole portare “un messaggio di pace e di speranza”, proprio dove le ferite della guerra civile, della crisi economica e dell’esplosione al porto di Beirut sono ancora aperte. È il sogno, mai abbandonato da Papa Francesco, di un Libano “laboratorio di convivenza” e “paese messaggio”.

Un Papa che non teme il confronto

La difesa pubblica di Parolin e il rifiuto di alimentare polemiche con Israele mostrano che Leone XIV non teme il confronto. Il suo stile è quello della fermezza nella mitezza: non si tratta di schierarsi con una parte, ma di restare con le vittime, da qualunque lato si trovino. In un tempo in cui la parola “pace” rischia di sembrare ingenua, la Santa Sede continua a pronunciarla come l’unica parola realmente sovversiva, quella che non serve poteri ma coscienze.

Dalla polemica con Israele al viaggio verso Nicea e Beirut, il messaggio di Leone XIV è chiaro: non c’è futuro senza dialogo, e non c’è dialogo senza verità. Difendere Parolin non è stato un gesto politico, ma pastorale: significa proteggere la libertà della Chiesa di dire la verità anche quando brucia.

In fondo, Leone XIV sta riprendendo il filo di una lunga tradizione: quella dei papi che, nel momento del conflitto, non scelgono tra le parti, ma tra l’odio e la speranza. E oggi, in un mondo che continua a contare i morti, quel filo — sottile ma tenace — resta forse l’unico segno di pace possibile.