Nel tempo in cui l’algoritmo scandisce i movimenti di Borsa e i titoli rispondono più ai tweet che ai fondamentali, la parola è tornata a essere moneta. E non sempre solida. La comunicazione politica – quella che un tempo si pesava, si cesellava, si affidava al ritmo della persuasione – è oggi strumento impulsivo, emotivo, muscolare. Lo ha capito perfettamente Donald Trump, che nella cena del National Republican Congressional Committee non ha parlato come un ex presidente, ma come il capo di una compagnia teatrale populista in tournée permanente.

«Questi Paesi mi stanno chiamando per baciarmi il c…», ha detto. E il mercato, poco dopo, ha tremato.

Se fosse solo folklore, potremmo anche riderne. Ma qui c’è in gioco ben altro: la credibilità della prima potenza mondiale, la stabilità degli scambi internazionali e – non da ultimo – la fiducia dei cittadini-elettori, che si trovano di fronte a un paradosso: un leader che parla alla pancia del Paese mentre gioca con i nervi dell’economia globale.

La parola che comanda il mercato

Che le parole di un leader abbiano sempre avuto un peso sui mercati è fuori discussione. Ma mai come oggi le parole hanno avuto una volatilità così elevata e un impatto così immediato. La guerra dei dazi – sospesa per 90 giorni salvo che con la Cina – è un esempio da manuale: annuncio, crollo, dietrofront, rimbalzo. Nel mezzo, investitori confusi, filiere disorientate, capitali in fuga e imprese che oscillano tra la tentazione di rilocalizzare e la prudenza di attendere.

In questo contesto, Trump non si limita a governare: interpreta un personaggio. Alterna toni da venditore televisivo(“Spostate le vostre aziende, zero tariffe!”) a mimiche da stand-up comedian da bar. Lo stile è brutale, provocatorio, volutamente volgare. Ma, come sempre, non è lo stile il problema, bensì il contenuto: un uso della comunicazione come strumento di intimidazione e manipolazione, che mira a dominare la scena, più che a orientarla.

Il populismo performativo come strategia economica

Quello che Trump sta esercitando è un populismo performativo di tipo economico: non solo grida, ma produce conseguenze reali, crea aspettative, genera paura e opportunismo. Lo dimostrano le oscillazioni delle Borse, i picchi dei dazi, il nervosismo della Cina, la tensione geopolitica. Le sue parole sono shock narrativi che diventano variabili di rischio per l’intero sistema internazionale.

Ma c’è di più. La volgarità ostentata – che non è più solo “parlare come la gente”, ma sfondare i confini del decoro per legittimare l’aggressività verbale come cifra del potere – crea una nuova grammatica politica. Una grammatica pericolosa, perché diseduca il cittadino e disorienta l’investitore, mentre promette risultati che non considera i costi di lungo periodo.

L’economia come spettacolo e la politica come marketing

L’invito a “fare come Apple” e trasferirsi in massa negli Stati Uniti sembra ignorare – forse volutamente – le dinamiche complesse della globalizzazione: non bastano i dazi per fermare le catene del valore, né bastano le esortazioni televisive per invertire decenni di delocalizzazioni.

Ma Trump questo lo sa. Perché non sta parlando all’economia reale, ma alla percezione politica del suo elettorato. E in questa prospettiva, ogni mossa commerciale, ogni dichiarazione controversa, ogni tweet arrogante non è che una tessera nella costruzione di una narrazione: quella dell’“America forte”, dell’“uomo solo contro il mondo”, dell’“eroe populista che non si piega”.

In questo teatro, l’economia diventa la scenografia, non l’obiettivo. Le imprese? Spettatori passivi o comparse obbligate. I partner internazionali? Antagonisti in un’opera che deve mantenere alta la tensione.

La volgarità è una strategia. Ma anche un limite.

Certo, la comunicazione grezza funziona, soprattutto in tempi di insicurezza sociale, di frustrazione identitaria, di disillusione verso le élite. Ma fino a quando?

Quando la retorica prevarrà sui risultati? Quando i dazi si trasformeranno in recessione? Quando i partner stanchi smetteranno di credere anche alle pause da 90 giorni?

Nel frattempo, la politica economica americana si gioca sul filo della battuta e della minaccia. Ma, come in borsa, anche nella comunicazione politica il credito si può esaurire in un attimo. E allora, a quel punto, nessuna sparata potrà fermare il crollo.