Decapitato l’apparato militare iraniano
Uccisi nella notte Esmail Qaani, Hossein Salami, il capo di Stato Maggiore Bagheri e il consigliere politico di Khamenei. Con loro anche generali e scienziati legati al programma nucleare. L’Iran ora è un sistema decapitato ma non domato.
In una sola notte, Israele ha inflitto il colpo più duro mai sferrato al cuore dell’apparato militare e strategico iraniano. Un’operazione mirata, chirurgica, devastante, che ha lasciato sul terreno le figure più alte della sicurezza nazionale della Repubblica Islamica: il comandante della Forza Quds Esmail Qaani, il capo delle Guardie rivoluzionarie Hossein Salami, il capo di Stato Maggiore delle forze armate Mohammad Bagheri e Ali Shamkhani, influente consigliere politico della Guida suprema Ali Khamenei. Con loro, una lunga lista di generali, collaboratori e almeno due scienziati nucleari di primo piano.
Un’escalation che segna un punto di non ritorno e apre scenari tanto incerti quanto pericolosi. Non è solo un attacco: è una decapitazione verticale del sistema di difesa iraniano. Un colpo che cambia gli equilibri interni della Repubblica islamica e, forse, anche quelli regionali.
I nomi e i volti della catena spezzata
Esmail Qaani, successore del defunto Qasem Soleimani alla guida della Forza Quds, rappresentava l’asse operativo delle operazioni iraniane all’estero. Era l’uomo che gestiva — in stretto contatto con Khamenei — le reti parallele dell’influenza sciita in Medio Oriente: Hezbollah in Libano, gli Houthi nello Yemen, le milizie sciite in Iraq e in Siria. Dopo la morte di Soleimani nel 2020 in un raid americano, Qaani aveva mantenuto un profilo meno visibile ma altrettanto strategico. Da tempo era nel mirino israeliano.
Hossein Salami, 65 anni, capo delle Guardie della Rivoluzione dal 2019, era considerato una delle figure più intransigenti del regime. Guidava il corpo più potente della Repubblica islamica, con compiti che andavano ben oltre la difesa: intelligence, repressione interna, sostegno al programma nucleare. Solo poche settimane fa aveva ammonito pubblicamente: “Apriremo le porte dell’inferno a chi ci attacca”. Le sue parole, oggi, suonano come un testamento.
Con loro è morto anche Mohammad Bagheri, il più alto comandante delle forze armate iraniane, secondo solo alla Guida suprema nella gerarchia. Figura rispettata, ponte tra l’esercito regolare e le forze ideologiche del regime, era noto per la sua strategia di deterrenza avanzata. E per la fedeltà totale al leader.
Ali Shamkhani, storico volto dell’intelligence, per anni segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale, era uno degli ultimi consiglieri politici rimasti vicini a Khamenei con influenza trasversale tra militari e diplomatici. La sua morte è forse quella più simbolica: viene meno un punto di equilibrio interno.
Tra le vittime figurano anche Gholamali Rashid, vice capo di Stato Maggiore, e altri ufficiali di staff, sempre al seguito delle principali figure militari. Un’intera generazione di vertice sterminata in una sola notte.
Anche i cervelli del nucleare
Ma il raid non si è fermato ai vertici militari. Tra i morti vi sono anche Fereydoun Abbasi, già a capo dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran, e Mohammad Mehdi Tehranchi, noto fisico nucleare e rettore della Islamic Azad University, considerato strategico nel trasferimento accademico-tecnologico del programma atomico. Entrambi erano figure centrali nella costruzione di un’architettura di sapere e segretezza, chiave per le ambizioni nucleari di Teheran.
Il segnale e il rischio
È difficile sovrastimare l’impatto di questa operazione. Israele non ha colpito solo strutture o depositi: ha colpito l’intero sistema di comando. L’intelligence iraniana sapeva da giorni che qualcosa si preparava — lo stesso ritiro parziale del personale americano da Baghdad lo lasciava intuire — ma nessuna precauzione è bastata. L’attacco è arrivato dove e quando nessuno lo immaginava.
Quella che fino a ieri era una guerra fredda tra intelligence e droni, oggi è diventata una guerra di vertice, e rischia di precipitare in una reazione a catena. Teheran ha già annunciato vendetta. Ma oggi, senza più i suoi uomini chiave, sarà chiamata a reagire in un contesto di caos strategico.
Una lettura etica e cristiana
Di fronte a questi eventi, la tentazione dell’ammirazione militare o della cronaca strategica può far dimenticare il peso umano e morale di quanto accaduto. La Dottrina sociale della Chiesa ricorda che ogni guerra — anche quella preventiva — dev’essere sottoposta a un discernimento etico rigoroso, basato sul principio della legittima difesa proporzionata e sul rispetto della dignità di ogni vita, anche del nemico.
Colpire per fermare un male maggiore può sembrare necessario, ma il rischio è di normalizzare la logica dell’eliminazione come regola. Un mondo in cui i problemi si risolvono con missili mirati invece che con trattative, mediazioni, costruzione di fiducia, è un mondo che ha già perso la pace.
In Medio Oriente non si combatte solo con le armi, ma anche con le idee, i simboli, le memorie. La notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 resterà nei libri di storia. Ma quale lezione morale ne trarremo resta ancora da scrivere.
