Non è coraggio, è incoscienza. La sfida folle di due giovani turisti, che hanno trasformato la strada in un’arena contro le auto in corsa, ci ricorda quanto la noia e il bisogno di apparire possano diventare micidiali. Non c’è adrenalina che valga una vita spezzata, né gioco che giustifichi il dolore innocente che ne deriva.
Una notte d’estate sul lago, il fascino della Gardesana illuminata dai fari delle auto, l’adrenalina che scorre. Per alcuni giovani, però, non è bastato vivere la bellezza del luogo: hanno deciso di trasformarla in un’arena. Si sono messi in mezzo alla strada, sfidando le auto in corsa, come in una roulette russa. Uno di loro, un turista irlandese di 27 anni, oggi è in ospedale in codice rosso. Poteva morire, e poteva portare con sé un innocente che si è ritrovato la responsabilità di un impatto impossibile da evitare.
Cosa spinge ragazzi e giovani adulti, spesso in vacanza e apparentemente felici, a cercare il brivido di sfidare la morte? Non basta liquidare il gesto con l’etichetta della “ragazzata”. Siamo di fronte a un fenomeno che interroga, e che deve indignare. Perché dietro queste scelte c’è qualcosa di più profondo: la noia esistenziale di una generazione che, in un mondo di infinite possibilità, sembra non trovare più senso.
Sociologi e psicologi lo chiamano sensation seeking: la ricerca di sensazioni forti per colmare il vuoto. Ma la radice è spesso un’altra: la difficoltà di dare direzione alla propria libertà. Quando mancano ideali e relazioni autentiche, il coraggio non viene speso per costruire, ma per distruggere. E così la vita diventa un gioco d’azzardo, un test continuo da superare, una sfida sterile a un destino cieco.
C’è poi il peso del gruppo: sfidare le auto non è mai un atto solitario, ma una performance per un pubblico. Che ci sia o meno un cellulare a riprendere, il vero “social” è quello degli amici accanto, che applaudono, che incitano, che alzano l’asticella. Il branco, anche se fatto di due persone, funziona come un moltiplicatore di incoscienza.
È qui che dobbiamo parlare chiaro ai giovani: il coraggio non è buttarsi davanti a una macchina per dimostrare di non avere paura. Il coraggio vero è saper dire di no a un gesto inutile, è proteggere la vita propria e quella altrui, è assumersi la responsabilità di non mettere in pericolo chi guida, chi cammina, chi semplicemente sta vivendo la sua giornata.
Non è “cool” rischiare la pelle per niente. Non è virile. Non è ribelle. È solo tragico. Chi ha provato questa roulette russa con il traffico lo ha capito troppo tardi, mentre veniva caricato su un’eliambulanza.
Sta a noi adulti — genitori, educatori, comunità civile — offrire ai giovani alternative di senso e occasioni di sfida vere: lo sport, l’impegno sociale, il volontariato, l’arte. Vie in cui la sete di adrenalina e di riconoscimento si trasformi in energia costruttiva, non in prove di morte.
La vita non è un gioco di coraggio da consumare di notte tra fari e asfalto. La vita è un dono fragile e prezioso. Bisogna imparare a custodirla.