«Conquistatori della Luna», così li chiamò Paolo VI, rivolgendosi agli astronauti dell’Apollo 11 nel 1969. In quell’occasione, la Chiesa non rimase in silenzio, ma parlò con ammirazione e fede. E oggi, a 56 anni da quel “grande passo per l’umanità”, Papa Leone XIV ha voluto rinnovare quel legame profondo tra scienza e fede visitando l’Osservatorio Vaticano di Castel Gandolfo e telefonando all’astronauta Buzz Aldrin. «Abbiamo ricordato un’impresa storica e riflettuto sul mistero e la grandezza della Creazione», ha scritto il Papa su X. Non un gesto di cortesia, ma un segnale forte e chiaro: la Chiesa non ha paura della scienza. Anzi, l’ama.
Il “caso Galileo”? Una narrazione da rivedere
Per troppi secoli – e ancora oggi, purtroppo – si è usata l’etichetta “Galileo” per colpire la Chiesa, presentata come oscurantista e nemica del sapere. Ma la verità storica è più complessa. Galileo fu sostenuto da molti Gesuiti, come lo scienziato Clavius, protagonista della riforma del calendario gregoriano. La sua condanna fu l’effetto di un conflitto di metodi e di linguaggi più che di verità dogmatiche. Il cardinale Roberto Bellarmino, da molti visto come il censore, chiese a Galileo solo di presentare il sistema copernicano come ipotesi scientifica, in mancanza – a quel tempo – di prove incontrovertibili secondo la fisica dell’epoca. E fu un altro gesuita, Roger Boscovich, a ottenere in seguito la rimozione del De revolutionibus di Copernico dall’Indice dei libri proibiti.
Oggi, la leggenda nera del processo a Galileo è strumentalizzata da chi vuole dipingere la fede come superstizione e l’intelligenza come atea. Ma la storia della Chiesa, e soprattutto quella dei Gesuiti, dimostra il contrario.
Gesuiti, stelle e telescopi: la scienza come vocazione
Il Vatican Observatory, fondato da Leone XIII nel 1891, è uno dei più antichi centri di ricerca astronomica al mondo. Ed è tuttora guidato da Gesuiti. Crateri lunari, asteroidi, formule scientifiche portano nomi come Clavius, Riccioli, Secchi, Boscovich, Consolmagno, Boyle, D’Souza. I padri della Compagnia di Gesù non hanno mai avuto paura di scrutare l’universo, perché – come disse sant’Ignazio di Loyola – anche tra le stelle si trova Dio.
La fede che prega e osserva, che studia e si meraviglia, è la stessa che ha portato Papa Benedetto XVI a dire ai Gesuiti: «La Chiesa ha bisogno di voi per raggiungere quei luoghi fisici e spirituali che altri non possono o non vogliono raggiungere». E oggi Papa Leone XIV raccoglie e rinnova quel mandato. Lo fa con il linguaggio della contemplazione e della responsabilità. Non a caso, anche Papa Francesco nel 2014 disse: «La fede non teme la ragione. Al contrario, la cerca».
Luna, Terra, umanità: la vocazione della scienza è anche morale
Nel ricordare l’allunaggio, Leone XIV ha parlato anche della fragilità del nostro pianeta. Lo aveva fatto anche Benedetto XVI nel 2011 parlando con gli astronauti in orbita: “Come custodire la Terra?” chiese loro. La scienza, per la Chiesa, non è solo conoscenza, è anche etica. È una strada per il bene comune. Per questo il Papa ha chiamato Aldrin, per questo visita telescopi, parla con ricercatori, incoraggia i giovani studenti delle scuole estive vaticane.
Guardare la luna, oggi, vuol dire anche guardare dentro di noi: quale uso facciamo del nostro ingegno? Della nostra libertà? Della nostra responsabilità planetaria?
La fede non ha paura: anzi, si lancia oltre i cieli
La vera domanda, oggi, non è se la Chiesa creda nella scienza. È se il mondo della scienza sappia ancora credere nell’uomo. Nella sua dignità, nella sua vocazione a qualcosa di più grande. E proprio qui la Chiesa, anche attraverso il suo amore per l’universo, dimostra che credere non è fuggire dalla realtà, ma penetrarla con occhi più profondi.
Perché, come diceva san Giovanni Paolo II: «Fede e ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità».
E sulla cima di quella verità c’è, ancora, una domanda che nessun telescopio può evitare: che cos’è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Sal 8,5).