Mentre le agende politiche d’Europa si affollano di vertici sul riarmo e aumenti delle spese militari, il Mediterraneo continua a restituire i corpi delle sue vittime più silenziose, quelle che non trovano posto nei comunicati ufficiali né nei calcoli di bilancio. Non si tratta di soldati caduti, ma di migranti legati, affogati, dimenticati, che inseguivano una speranza e hanno trovato un fondale.
L’ultimo orrore ci arriva dalla Spagna: almeno cinque cadaveri rinvenuti in mare nelle Baleari con mani e piedi legati, probabilmente partiti dall’Algeria. Scene che parlano da sole: torture, esecuzioni, abbandono. Nelle stesse ore, Sea Watch sorvolava il Mediterraneo centrale e fotografava altri corpi che galleggiavano in acque internazionali. Una motovedetta libica era lì accanto, finanziata con fondi italiani, ma ha ignorato le chiamate di soccorso. E i cadaveri sono rimasti in mare.
Legati in mare, scollegati dalla coscienza collettiva
Quelle mani e quei piedi legati non sono solo il segno di una violenza brutale. Sono il simbolo di un sistema disumanoin cui la sofferenza si disperde come se fosse un effetto collaterale della geopolitica. In Italia, nello stesso fine settimana, oltre 600 persone sono arrivate tra Lampedusa, l’Agrigentino e i porti del nord. Alcune soccorse dalle Ong, altre intercettate dalle forze dell’ordine. Ma in nessun caso accolte come persone che fuggono da guerre, persecuzioni, desertificazione, fame.
I porti assegnati alle navi umanitarie sono sempre più lontani dai luoghi di soccorso, in una logica punitiva. Così chi salva vite viene penalizzato, e chi le respinge viene finanziato. È una distorsione che si ripete ogni giorno, con lo sguardo altrove della politica.
Contabilità di morte
Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, da gennaio a oggi 539 persone risultano disperse nel Mediterraneo centrale, 255 sono morte accertate, mentre oltre 11.000 sono state intercettate e riportate in Libia. Molti finiranno nei lager che tutti fingiamo di non conoscere.
Nel Mediterraneo occidentale, la cosiddetta rotta Algeria-Baleari si è trasformata in un nuovo corridoio di morte. Sono già 31 i corpi ritrovati nelle acque spagnole dall’inizio dell’anno. E il conto aumenta. I morti, però, non pesano nei bilanci militari, non occupano i dossier della NATO, non interessano le cancellerie.
L’Italia e l’ipocrisia della sicurezza
Nel frattempo, l’Italia aderisce entusiasta al nuovo target NATO del 5% del PIL per la difesa, e la premier Giorgia Meloni ripete “si vis pacem, para bellum”, come se la pace si costruisse ammassando armi e blindando i confini. Ma contro quale nemico? La Russia, che non riesce nemmeno a superare il Donbass? O forse i disperati del Sahel e del Sudan, che attraversano il mare su gommoni sgonfi?
Il vero nemico, per l’Italia, non è esterno, ma interno: è la povertà, la sanità al collasso, l’istruzione dimenticata, gli anziani soli, le periferie abbandonate. Davvero abbiamo risorse per investire miliardi in carri armati, e non in case popolari, scuole, asili, cure palliative, centri di accoglienza? La retorica del riarmo è una distrazione pericolosa, soprattutto quando le vittime reali sono sotto gli occhi di tutti e non vengono mai nominate.
Francesco e Leone XIV: due voci per chi non ha voce
Papa Francesco ha più volte richiamato l’umanità allo sguardo di compassione e accoglienza. Ha definito i migranti “carne di Cristo”, ha denunciato il Mediterraneo come una “tomba liquida”, e ha ammonito: “chi costruisce muri ne diventa prigioniero”.
Papa Leone XIV, nel suo discorso del 16 maggio 2025 all’Udienza del Corpo Diplomatico, ha denunciato le “disparità globali che scavano solchi tra opulenza e indigenza”. Ha esortato i diplomatici a rafforzare la pace attraverso la giustizia, la verità e il dialogo .
Nei giorni successivi, il Papa ha ricevuto una delegazione di ONG impegnate nei soccorsi marittimi, tra cui Mediterranea Saving Humans, elogiandone la missione e richiamando tutti alla fraternità e al servizio dei più fragili .
La pace si costruisce con giustizia, non con missili
Finché la morte di un migrante legato mani e piedi non farà lo stesso rumore della violazione di un confine, non potremo parlare di pace. Finché si finanzieranno milizie che ignorano i soccorsi, e si puniranno navi che salvano, non potremo dirci umani.
“La guerra non è un gioco”, recitava una recente illustrazione. Eppure, nel Mediterraneo si continua a giocare con le vite degli ultimi. Ma non c’è niente di più serio della morte di un innocente. E non c’è niente di più urgente che restituire dignità a chi oggi è invisibile.
Se vogliamo davvero la pace, prepariamola con la giustizia, non con le armi. E prepariamola guardando in faccia chi muore in mare, come se fosse nostro fratello. Perché lo è.